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‘Ndrangheta a Reggio, i timori per le rivelazioni degli imprenditori e dei pentiti: «Nell’edilizia non ci si deve avvicinare»

Dagli indagati la paura di recarsi sui cantieri, l’attenzione alle telecamere e ai cellulari. «Ora gli imprenditori stanno organizzando barzellette»

Pubblicato il: 20/06/2024 – 6:59
di Mariateresa Ripolo
‘Ndrangheta a Reggio, i timori per le rivelazioni degli imprenditori e dei pentiti: «Nell’edilizia non ci si deve avvicinare»

REGGIO CALABRIA «Nell’edilizia ormai è un pericolo avvicinarsi in tutto e per tutto!». Preferiva stare nelle retrovie Vincenzo Autolitano, recarsi personalmente sui cantieri poteva essere troppo pericoloso. Per lui come per altri indagati dell’inchiesta “Arangea”. Erano crescenti le preoccupazioni per possibili indagini che potevano scattare a seguito delle denunce degli imprenditori o dichiarazioni di collaboratori di giustizia. È il quadro emerso dalle conversazioni contenute nelle carte dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha ricostruito dinamiche, assetti delle ‘ndrine nel quartiere nella periferia sud di Reggio Calabria e il controllo asfissiante sulle attività commerciali della città. Dialoghi di cui hanno parlato in conferenza stampa anche il procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e il procuratore aggiunto Walter Ignazitto, titolare dell’indagine. «Gli indagati vivevano con il terrore che i collaboratori di giustizia potessero parlare e che gli imprenditori potessero denunciare», hanno spiegato Bombardieri e Ignazitto, che hanno quindi lanciato l’ennesimo messaggio alla cittadinanza e agli imprenditori in particolare: «La denuncia è l’unico mezzo per far terminare questo controllo». Messaggio lanciato anche dal comandante provinciale dei carabinieri Cesare Totaro.

I timori per le indagini: l’attenzione alle telecamere e ai cellulari

L’attività tecnica, – si legge nell’ordinanza – ha avuto modo di cogliere le crescenti preoccupazioni di Demetrio Palumbo detto “Mico” ed il figlio, Antonino detto “Nino”, Sebastiano Praticò detto “Bastiano”, Vincenzo Autolitano e il padre Antonino (cl. 53) nonché Carmelo Gullì detto “Memè” i quali, «confrontandosi tra di loro, manifestavano i loro timori per la sussistenza di attività investigativa in corso che potesse riguardarli». Così gli indagati, «allo scopo di correre ai ripari e preservarsi da temuti arresti, ponevano particolare attenzione alla presenza di telecamere, che certificassero i rapporti con i sodali; alle dichiarazioni accusatorie provenienti da nuovi collaboratori di giustizia; all’uso del telefono cellulare, in virtù del pericolo di essere intercettati, con conseguente ricorso ad applicazioni “telegram”, “signal”, “messenger”, più difficilmente intercettabili».

«Ora gli imprenditori stanno organizzando barzellette»

Tra i timori più grandi c’era quello di essere oggetto poi di denunce da parte degli imprenditori o delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Paura che Autolitano e Palumbo condividevano. Nel corso di una conversazione intercorsa tra i due il 17 marzo 2021, Autolitano in particolare affermava di non voler rapporti con il settore edile considerato che molti degli imprenditori stavano collaborando con la giustizia denunciando le estorsioni patite o rendendo dichiarazioni.
«Nell’edilizia non ci si deve avvicinare proprio per niente», afferma Autolitano che poco dopo aggiunge: «Ora gli imprenditori stanno organizzando barzellette, Perché? Perché sono rovinati e almeno li mantiene lo Stato». «Sì sì, ma il vostro campo è brutto, l’edilizia e brutta», risponde Palumbo. Autolitano aggiunge che per timore di suoi coinvolgimenti in inchieste giudiziarie ha deciso di non recarsi nei cantieri dove vengono svolti i lavori. «Allora io ho il negozio della pittura giusto? Allora io nei cantieri non n1i avvicino! Perché? Pure che vado a fare un preventivo io, passo chissà per chi …».
Preoccupazioni espresse «lungi da forme di desistenza o allontanamento da certe dinamiche», – si legge nell’ordinanza, «invece destinate a preservare le loro attività illecite da possibili indagini in corso e, di conseguenza, dalla necessità di evitare temuti arresti. Così, gli indagati sottolineavano l’importanza di coinvolgere solo persone di estrema fiducia, di mantenere un profilo basso anche in ordine alle frequentazioni, di evitare di agire in certi settori maggiormente a rischio – come quello edilizio – nel timore che il monitoraggio tecnico, le telecamere o la scelta di collaborare con la giustizia o comunque di denunciare i fatti da parte delle vittime potesse esporli irrimediabilmente».

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