«Qualche giorno fa ho visto Palazzina LAF (qualcuno dirà era ora, arrivi sempre in ritardo, è già stato detto tutto, è stato commentato esageratamente, si, va bene, avete ragione, ma io sono fatta così, rifuggo il clamore, mi annoiano gli eccessi di commenti ed opinioni, ed ho bisogno che si plachi l’onda per avvicinarmi ad un film o ad un libro- qualche volta pure alle persone – senza condizionamenti) e, per pura casualità, qualche giorno dopo, anche mio fratello è andato a vederlo al cinema; stamattina mi ha chiamato, esordendo con “per trent’anni, ogni santa mattina, nostro padre è andato in guerra e noi non lo sapevamo”. Per trent’anni mio padre ha oltrepassato quei tornelli, per trent’anni si è sentito un privilegiato perché contribuiva al successo della più grande acciaieria d’Europa (“ma ve lo siete mai chiesto perché vicino alla più grande acciaieria d’Europa non c’è neanche una fabbrica di forchette”), per trent’anni si è sentito orgoglioso dell’affrancamento dal bisogno e dalla povertà che tanti pugliesi iniziavano a costruire, per trent’anni, da delegato della FIOM, ha cercato di far capire ai lavoratori l’importanza del caschetto e delle scarpe antinfortunistiche, per trent’anni ha respirato polvere rossa e noi abbiamo ancora nelle narici l’odore delle sue tute blu, quell’odore che non andava via neanche dopo mille lavaggi e nelle orecchie i racconti del collega morto perché un disco del flessibile impazzito era schizzato dalla macchina, ogni giorno un incidente, ogni giorno un infortunio e le sue ginocchia che cominciavano ad ammalarsi e poi la coscienza che, piano piano, diventava certezza su quello che la mia terra si stava giocando in nome di un progresso che restituiva sangue e dolore e polvere rossa dappertutto, anche nella gola e nei polmoni. Per trent’anni, ogni santa mattina, mio padre è andato in guerra e io non lo sapevo».
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