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‘Ndrangheta, Roma «città aperta» ai clan calabresi: la Capitale come terra di conquista

Le ‘ndrine più potenti, negli anni, sono riuscite a radicarsi su ampi territori del Lazio. Nella relazione della Dia, i casi Anzio e Nettuno e i processi “Tritone” e “Propaggine”

Pubblicato il: 24/06/2024 – 6:55
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, Roma «città aperta» ai clan calabresi: la Capitale come terra di conquista

LAMEZIA TERME Gruppi criminali organizzati in grado di “mimetizzarsi” e di muoversi con disinvoltura fra le varie opportunità economiche e commerciali e, dunque, di più subdoli e ambigui. L’estensione di Roma è, dunque, una grande opportunità anche per la ‘ndrangheta calabrese. È quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia relativa ai primi sei mesi del 2023. Ricostruzioni che fotografano, anche nel periodo di riferimento, un quadro allarmante e desolante.  

Le famiglie sulla Capitale

Come i tentacoli di una piovra, i clan calabresi hanno letteralmente “preso” interi territori della Capitale, con gli inquirenti in grado di risalire alla presenza delle ‘ndrine Alvaro-Carzo di Sinopoli, i Gallico di Palmi, i Pelle-Vottari di San Luca e i Fiarè di San Gregorio di Ippona. E poi i Mancuso di Limbadi, i Gallace-Novella di Guardavalle, la ‘ndrina Marando di Platì, la famiglia Strangio di San Luca e i Bellocco di Rosarno. Inoltre, come si legge ancora nella relazione, nell’area di Roma Nord è stata accertata la presenza di soggetti contigui alla ‘ndrina Morabito di Africo Nuovo, in particolare nei Comuni di Morlupo, Rignano Flaminio, Riano, Castelnuovo di Porto e Capena. Nella zona dei Castelli Romani si confermano interessi e presenze di soggetti organici alle ‘ndrine Molè e Mazzagatti di Oppido Mamertina. Nel quartiere Appio Latino-San Giovanni insistono gli interessi della famiglia Piromalli di Gioia Tauro, proprio come era già emerso anche dall’operazione “Alberone” del 2021.

Inchieste e processi

Ad avvalorare la presenza della ‘ndrangheta a Roma e gli interessi delle cosche calabresi ci sono alcune sentenze dalle quali emerge «come nel territorio laziale, oltre alla presenza stabile di strutture criminali autoctone, siano presenti vere e proprie consorterie mafiose, diramazioni delle organizzazioni di origine», è scritto nella relazione. E il riferimento è, ad esempio, all’operazione “Tritone” con l’arresto di 65 soggetti legati alle cosche Madaffari, Gallace, Tedesco e Perronace, nonché al commissariamento e al successivo scioglimento dei Comuni di Anzio e Nettuno, disvelando la presenza di un “locale” di ’ndrangheta che avrebbe di fatto assunto il controllo di alcune ampie aree del litorale a sud di Roma, rappresentando a tutti gli effetti un “distaccamento” delle ‘ndrine di Santa Cristina d’Aspromonte e di Guardavalle. Il sodalizio avrebbe gestito operazioni di narcotraffico internazionale per “colonizzare” anche il tessuto economico-produttivo infiltrandosi nel tentativo di condizionare le Pubbliche Amministrazioni aggiudicandosi appalti strategici in vari settori, da quello ittico a quello dello smaltimento dei rifiuti.

I casi Anzio e Nettuno

Il 23 febbraio dello scorso anno, infatti, il Tribunale di Roma ha emesso la sentenza con la quale ha sancito l’esistenza di un’associazione a delinquere di tipo mafioso di matrice ‘ndranghetista nei comuni di Anzio e Nettuno, infliggendo condanne per 260 anni di reclusione complessivi ai 25 imputati giudicati con il rito abbreviato. Quattro soggetti, ritenuti elementi di vertice della consorteria, hanno riportato ciascuno condanne a 20 anni di reclusione. Un mese prima, il 23 gennaio 2023, era stata portata a conclusione una terza fase della più volte richiamata inchiesta “Propaggine” condotta dalla Dia, e in particolare, con gli ultimi provvedimenti eseguiti, si sono ulteriormente rafforzate le risultanze investigative, confermando la presenza di un’articolazione dell’organizzazione operante nel comune di Roma. L’incisiva presenza della ‘ndrangheta nel Lazio è testimoniata, poi, anche dalla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione il 23 febbraio 2023 sul decreto di confisca del giugno 2021 emesso dal Tribunale di Roma. Il provvedimento era scaturito dagli esiti processuali dell’operazione denominata “Giù le mani” del luglio 2019, eseguita dalla Polizia di Stato, a seguito della quale era stato effettuato un sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 120 milioni di euro, nei confronti di esponenti di spicco della ‘ndrina Morabito-Mollica-Palamara-Scriva, radicata nella provincia nord di Roma (in particolare nei comuni di Rignano Flaminio, Morlupo, Sant’Oreste, Capena, Castelnuovo di Porto, Campagnano e Sacrofano).



L’inchiesta “Eureka”

Inoltre, personaggi attivi sul territorio romano sono emersi anche nell’ambito dell’operazione “Eureka”, coordinata dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria e conclusa il 3 maggio 2023 dall’Arma dei carabinieri, che ha portato all’esecuzione di 4 provvedimenti cautelari nei confronti di 108 persone indagate, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti con le aggravanti della transnazionalità e dell’ingente quantità, detenzione/traffico di armi anche da guerra, riciclaggio, favoreggiamento, procurata inosservanza di pena, trasferimento fraudolento di valori e altri reati.  Le attività d’indagine, inizialmente concentrate su traffici illeciti riconducibili ad esponenti della ‘ndrina Nirta-Strangio, sono state successivamente estese a diverse famiglie della Locride, ricostruendo, oltre alle fattispecie di reato sopra riportate, anche condotte finalizzate al reinvestimento di capitali illeciti in attività imprenditoriali – sia in Italia che all’estero – in particolare nei settori della ristorazione, del turismo e quello immobiliare.

Cogliere le opportunità

Come si legge nella relazione della Dia, dunque, allo stato attuale la ‘ndrangheta appare l’organizzazione maggiormente intenta a cogliere e sfruttare le numerose opportunità di riciclaggio, inevitabilmente agevolate dalla vastità del territorio e dalla densità demografica della Capitale, avvalendosi anche di strategiche collaborazioni instaurate all’occorrenza con alcuni esponenti delle formazioni criminali autoctone. (g.curcio@corrierecal.it)

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