Si ritiene che in altre regioni d’Italia le cure siano migliori, e per questo motivo si parte, con un bagaglio di preoccupazioni, ma soprattutto con la voglia di guarire. Circa mezzo milione di italiani ogni anno intraprendono quelli che un tempo si chiamavano, con una brutta espressione, viaggi della speranza. E il timore è che con l’autonomia differenziata il quadro attuale possa peggiorare, bloccando la crescita. «I timori riguardano la concorrenza tra vari servizi pubblici per il personale. Se le Regioni ricche pagano un giovane medico il triplo, le povere avranno enormi problemi a reclutare i professionisti, compresi gli infermieri. Questo ricadrebbe pesantemente su tutto il sistema e direttamente sulla salute dei pazienti», ha detto Francesco Perrone, presidente dell’Associazione di oncologia medica Aiom, in una intervista a Repubblica.
I dati di Agenas, l’Agenzia nazionale sanitaria delle Regioni, sui flussi 2022 smentiscono alcuni luoghi comuni. La maggior parte di chi si sposta (328 mila malati) lo fa infatti per ricevere cure di media complessità. Quelle di alta complessità riguardano 94 mila persone. Poi ci sono 72 mila cittadini che si muovono per prestazioni considerate a rischio inappropriatezza. In oncologia, inoltre, più di un paziente su dieci, cioè 28 mila su 240 mila, cambia Regione per curarsi. La realtà che attira di più è ancora la Lombardia, che assiste quasi 8.400 malati di cancro in arrivo da fuori, ai quali dedica il 18% della sua attività in questo campo. Seguono il Veneto con 4.200 (16%), il Lazio con 4 mila (15%), la Toscana con 2.600 (13%) e l’Emilia-Romagna con 2.100 (11%). Le fughe più significative si hanno da Campania (3.380 e cioè il 18% dei malati), Calabria (3.200 e addirittura il 50% dei malati), Sicilia (2.400 e 16%) e Puglia (2.300 e 14%), che però esercita anche attrazione in entrata e così ha il saldo tra chi esce e chi arriva meno pesante di tutto il Sud.
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