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Il mistero sulla morte degli “anarchici della Baracca”, tra destra eversiva e ‘ndrangheta

Nel 1970 l’incidente in cui persero la vita cinque 20enni (4 calabresi). Scomparsi i loro documenti su Moti di Reggio e strage di Gioia Tauro

Pubblicato il: 27/06/2024 – 6:35
di Francesco Veltri
Il mistero sulla morte degli “anarchici della Baracca”, tra destra eversiva e ‘ndrangheta

Sono giovanissimi, il più grande ha appena 26 anni, i più piccoli 18. Sono in cinque, in viaggio verso Roma, stretti in una Mini Minor di colore giallo, colma di passione e fascicoli scottanti. Da Reggio Calabria alla capitale, 700 chilometri in tutto, dove il giorno dopo si terrà la manifestazione contro il presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon e la guerra in Vietnam.
Ma il loro vero scopo è un altro, a Roma hanno due appuntamenti: con alcuni amici che scrivono sul settimanale “Umanità Nova” e con Eduardo Di Giovanni, noto avvocato che ha scritto una controinchiesta, “Strage di Stato”, sull’attentato di Piazza Fontana a Milano nel 1969.
Vogliono mettere nelle loro mani tutto il materiale che hanno raccolto dopo mesi e mesi di ricerche.
Il viaggio in autostrada prosegue senza grosse difficoltà, quando è buio sono nel Lazio, la meta è ormai vicina. Ma tra Ferentino e Frosinone avviene l’impensabile: la loro Mini minor va a schiantarsi contro un camion di trasporto pomodori parcheggiato a luci spente sul ciglio della strada. L’impatto è tremendo, Angelo CasileFranco Scordo e Luigi Lo Celso di 20, 18 e 26 anni vengono scagliati fuori dall’auto e muoiono sul colpo. Gianni Aricò 22 anni muore il giorno dopo, sua moglie Annelise Borth di 18 anni, lotta per venti giorni, poi si arrende.
Si facevano chiamare “gli anarchici della Baracca”, un nome ispirato dalla villa in stile liberty che avevano occupato per trasformarla nel loro quartier generale. È il 26 settembre 1970. I moti di Reggio Calabria stanno tenendo sotto scacco un’intera regione, a 58 chilometri da Roma cinque giovani calabresi che quella rivolta l’avevano studiata con attenzione, hanno perso la vita misteriosamente.

La dinamica dell’incidente e i documenti spariti

Quello di Angelo, Franco, Luigi, Gianni e Annelise appare subito un incidente strano, possibile che non si siano accorti di quel mezzo enorme posizionato sul ciglio della strada? Non convince la dinamica: i corpi sbalzati dai sedili posteriori, i fanalini del camion intatti, la posizione dell’auto. E poi il fatto più inquietante: i documenti che i ragazzi stavano portando a Roma si sono dissolti nel nulla. Su quei fogli avevano raccolto informazioni dettagliate sulla rivolta di Reggio Calabria in corso in quei giorni e sulla strage di Gioia Tauro verificatasi due mesi prima, il deragliamento del cosiddetto “Treno del Sole” (o Freccia del Sud) che da Siracusa avrebbe dovuto raggiungere Torino Porta Nuova. Nei pressi della stazione di Gioia Tauro l’esplosione e la morte di sei persone: Rita Cacicia, Rosa Fassari, Andrea Gangemi, Nicoletta Mazzocchio, Letizia Concetta Palumbo e Adriana Maria Vassallo. I feriti saranno 77.
I giovani anarchici della Baracca erano convinti che dietro i Moti di Reggio ci fosse la mano dei neofascisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale che, per i loro interessi, puntavano a strumentalizzare l’intera città, in rivolta contro l’assegnazione di Catanzaro a capoluogo di regione.

La rivolta di Reggio

Inoltre, erano sicuri di poter dimostrare che l’incidente di Gioia Tauro fosse stato provocato da una bomba piazzata da neofascisti e ‘ndrangheta. Insomma, tra i due eventi c’era uno stretto legame, ne erano certi Angelo, Franco, Luigi, Gianni e Annelise, avevano raccolto materiale a sufficienza, persino fotografie che testimoniavano la presenza dei neofascisti alla guida della guerriglia reggina che alla fine provocherà sei morti, decine di feriti e arresti. Tutto questo non basterà a dimostrare nulla e l’inchiesta sulla morte dei cinque ragazzi verrà archiviata nel 1971.
In quei giorni si metteranno in giro strane voci su di loro: erano ubriachi, andavano troppo veloce, erano “solo” degli anarchici, amici di Pietro Valpreda, lo scrittore e poeta militante coinvolto (e successivamente assolto) nel processo sulla strage di Piazza Fontana. Si racconterà che a Roma Angelo, Franco, Luigi, Gianni e Annelise avrebbero dovuto compiere atti sovversivi. Tutto questo per distogliere l’attenzione su quel fatto di cronaca così pieno di buchi, lacune, dubbi.

Chi erano gli “anarchici della Baracca”?

Ma chi erano quei cinque ragazzi? Perché così giovani si stavano occupando di fatti tanto scottanti? Luigi Lo Celso era nato a Cosenza nel 1944. Socialista e dipendente dell’Istituto Autonomo Case Popolari, alla fine degli anni ’60 nella sua città aveva creato il circolo “Bakunin”, in stretto contatto con il circolo reggino “Misefari”. Dopo le bombe di Roma e Piazza Fontana aveva sposato la causa anarchica e si era unito agli amici di Reggio Calabria. Angelo Casile era nato a Reggio nel 1950. Schedato dalla polizia già nel 1967, aveva partecipato alla costituzione della FAGI. Viaggiava molto, aveva condiviso le lotte dei minatori in Belgio. Pittore e scultore, utilizzò il suo talento per la pittura e la scultura allo scopo di far conoscere i principi dell’anarchia. Nel 1969 dopo gli attentati di Milano e Roma era stato arrestato nella capitale insieme ad altri due compagni reggini. Scagionato dopo quindici giorni.
Gianni Aricò era nato a Reggio nel 1948. Schermitore promettente, aveva iniziato a viaggiare in Europa e a scrivere dedicandosi totalmente all’impegno politico. Franco Scordo era uno dei più giovani. Classe 1952, nato e cresciuto nel quartiere Sbarre di Reggio Calabria. La passione per la musica e in special modo per il pianoforte aveva cambiato la sua vita. Musica e denuncia sociale erano diventati i suoi pensieri fissi. Infine, Annelise Borth, soprannominata “Muki”. Anche lei classe 1952, tedesca dai capelli rossi, con un passato di fuga da un riformatorio del suo Paese. L’arrivo in Italia, il carcere per falsa testimonianza sulla scadenza del suo permesso di soggiorno. Aveva sposato Gianni, e pare fosse rimasta incinta giovanissima, una gioia interrotta bruscamente proprio in quella notte di settembre del 1970.

L’inchiesta “Olimpia 1” e i legami tra destra eversiva e ‘ndrangheta

«Ciò che abbiamo scoperto farà tremare l’Italia», aveva rivelato Gianni Aricò a sua madre prima di partire per Roma. Si dice che il giorno prima di quel misterioso incidente stradale, un poliziotto amico della famiglia Lo Celso, avesse consigliato al padre di Gianni di non far partire il figlio per la capitale. Quante persone sapevano della missione dei cinque anarchici della Baracca? Ciò che è certo è che le informazioni che erano pronti a fornire a “Umanità Nuova” e all’avvocato Di Giovanni spaventavano troppe persone.
Nel 1993, l’inchiesta “Olimpia 1” sulla ‘ndrangheta svela particolari scottanti sulla strage di Gioia Tauro. Il pentito Giacomo Ubaldo Lauro dichiarerà prima al procuratore della Dda Vincenzo Macrì e poi al giudice Guido Salvini che indaga sulla strage di Piazza Fontana, di aver saputo in carcere che a mettere la bomba a Gioia Tauro era stato il neofascista Vito Silverini su mandato del Comitato d’azione di Reggio Capoluogo. Dichiarazioni queste confermate poi dal pentito di ‘ndrangheta ed ex militante di Avanguardia Nazionale Carmine Dominici.

La strage di Gioia Tauro

La rivolta di Reggio, secondo quest’ultimo, sarebbe stata resa possibile dalla ‘ndrangheta con forniture di materiale esplodente comprato dall’estrema destra eversiva che controllava tutto da Roma. Lauro, successivamente, confesserà di essere stato lui a consegnare l’esplosivo ai responsabili della strage. Nel 1995 verranno indagati per concorso in strage l’armatore Amedeo Matacena senior, l’ex-consigliere provinciale missino di Reggio Calabria Angelo Calafiore, Fortunato Aloi e Renato Meduri. Saranno tutti prosciolti.
Ancora Dominici ammetterà che negli anni seguenti alla morte dei cinque ragazzi anarchici, negli ambienti malavitosi si era sempre parlato di omicidio. Secondo lui l’incidente d’auto venne simulato. Un mezzo potrebbe aver speronato l’auto contro il camion di pomodori. Quel camion parcheggiato sul ciglio della strada quella sera era guidato da Alfonso Aniello ed era di proprietà di una azienda del “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex colonnello della X Mas e fondatore del Fronte Nazionale, in collaborazione con Avanguardia Nazionale, che l’8 dicembre di quello stesso anno tentò e annullò misteriosamente, in piena fase di esecuzione, un colpo di Stato che avrebbe previsto l’assedio della Rai, dei Ministeri dell’Interno e della Difesa, il rapimento del presidente della Repubblica Saragat, l’omicidio del capo della polizia Vicari e la deportazione degli oppositori.

I libri e il progetto teatrale del Kollettivo Kontrora

È possibile che durante quel viaggio che da Reggio Calabria li stava portando a Roma, Angelo, Franco, Luigi, Gianni e Annelise fossero seguiti dalla polizia e dai servizi segreti. Fabio Cuzzola nel suo libro “Cinque Anarchici del Sud” (Città del Sole Edizioni) ha evidenziato il legame tra il camionista e gli ambienti neofascisti, mentre una documentazione pubblicata da Aldo Giannulli, emerge l’estraneità del titolare del camion con gli ambienti dell’estrema destra.
Di questa vicenda si è occupata anche Nicoletta Orlandi Posti nel libro “Il sangue politico – Storia di cinque anarchici e di un dossier scomparso” (Editori Internazionali Riuniti).


Recentemente il Kollettivo Kontrora di Cosenza ha presentato una prima parte di un progetto teatrale dal titolo “Quattro pezzi facili meno una” che indaga, appunto, sulla vicenda degli “anarchici della Baracca”. La regia è di Francesco Aiello, con la collaborazione di Giovan Battista Picerno. In scena Francesco Gallelli. Il primo spettacolo è andato in scena lo scorso 2 giugno nel teatro Silvio Vuozzo di Cosenza, all’interno dell’istituto Spirito Santo. In platea era presente Antonella Aricò, sorella di Gianni, giunta appositamente da Reggio Calabria. (f.veltri@corrierecal.it)

Foto dello spettacolo del Kollettivo Kontrora di Alessandro Aiello

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