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‘ndrine e potere

‘Ndrangheta, chili di pesce per migliaia di euro mai pagati dai “Piscopisani”. «Gli devo spaccare la faccia a quello»

Rese note le motivazioni dei giudici della Corte d’appello sul processo “Rimpiazzo”. L’episodio legato a Battaglia e raccontato dal pentito Moscato

Pubblicato il: 28/06/2024 – 14:29
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, chili di pesce per migliaia di euro mai pagati dai “Piscopisani”. «Gli devo spaccare la faccia a quello»

VIBO VALENTIA Comprare chili e chili di pesce, con la promessa di pagare ma, nei fatti, senza mai sborsare un centesimo. Anzi, costringendo il povero commerciante a chiedere «scusa» per aver osato pretendere i soldi guadagnati con il duro lavoro. Storie di ordinaria amministrazione in territori in cui, la presenza asfissiante della ‘ndrangheta, si manifesta anche così, generando paura e assoggettamento dell’imprenditoria e dei commercianti. L’episodio è riportato nelle motivazioni della sentenza d’appello del processo “Rimpiazzo”, nato dall’inchiesta della Distrettuale antimafia di Catanzaro contro i clan dei Piscopisani, con la sentenza emessa lo scorso 28 marzo 2024 e che ha visto due assoluzioni rispetto alla prima sentenza.

Le casse di pesce mai pagate

L’accusa in questione è quella di «estorsione continuata» in danno all’imprenditore Francesco Ceravolo nei confronti di Rosario Battaglia. Come è emerso in fase dibattimentale, infatti, al momento del pagamento «sia Battaglia che Moscato chiedevano uno sconto sull’importo con il quale si erano aggiudicata la cassetta di pesce» e l’imprenditore ha raccontato: «Io glielo facevo per quieto vivere sapendo che erano soggetti pericolosi…». A fornire anche in questo caso dichiarazioni di grande importanza è stato il pentito Raffaele Moscato. «(…) per esempio prendevo 10 chili di gamberoni, li portavo a Piscopio e ci facevamo una grigliata, gli dicevo: “Segnali che poi passiamo”, però a modo… nel senso che non li pagavamo questi pesci». Riguardo l’imprenditore, Moscato ha riferito: «Praticamente mi faceva fare pure l’asta, nonostante non avessi la partita Iva, mentre altri commercianti che avevano i ristoranti, chi a Briatico, chi a Tropea, facevano un’asta, tipo arrivava una cassetta di pesce facevano l’asta, che ne so dicevano 15 euro al chilo, io aumentavo tipo subito a 30 euro, a 40 euro e me l’aggiudicavo io, specialmente quando c’era mal tempo e non c ‘erano tanti gamberoni, tanti scampi ed allora aumentavo subito il prezzo e mi aggiudicavo anziché una cassetta di pesce che costasse 100 euro me la potevo aggiudicare pure il doppio. Prendevo il pesce poi, che mi dava la bolla, gli dicevo: “Segna che poi passo”, e la portavo a Piscopio. Stessa identica cosa quando c’era, che ne so, un tonno sano, scampi, gamberoni, sempre questi erano il tipo di pesci che portavo». Il pesce, però, non veniva mai pagato. E la conferma arriva proprio da Moscato.

Il debito e la richiesta dei soldi

«(…) questo Ceravolo mi aveva detto: “Ma lo copri il debito”, questo e quell’altro… allora gli dico io: “Ma quale conto devo pagare io? Sarino ce l’ha il conto, non io”». Il collaboratore, nel suo racconto, fa poi riferimento alla sera in cui aveva subito un agguato il 21 marzo 2012. «Quella sera Francesco Ceravolo lo ridice un’altra volta ed eravamo io, Francesco Scrugli e Rosario Battaglia… perché praticamente questo debito era più di 10mila euro, una cosa del genere, mi sembra sui 13-14, comunque era assai (…) e poi Sarino Battaglia ha detto: “Il conto è mio, dimmi quanto ti devo dare che mi metto le mani in tasca e te li do subito, capito Franceschiello?”». «Ma – ha raccontato Moscato – gliel’ha detto in un modo brutto, minaccioso, e questo Francesco si è messo di paura ed ha detto: “No, no, no, assolutamente, non mi deve dare niente, facciamo finta che non è successo niente, scusate” di qua e di là».

«Confermati i propositi violenti»

Dunque, per i giudici, gli esiti riportati nella sentenza di primo grado, «confermano pienamente le dichiarazioni di Moscato ed attestano i propositi violenti dello stesso Moscato, di Scrugli e di Rosario Battaglia contro la vittima in parte già attuati, funzionali ad ottenere pesce senza corrispettivo», si legge nelle motivazioni. Per i giudici della corte d’appello trova credito il rilievo del Tribunale secondo il quale «i chiari contenuti delle captazioni, oltre a riscontrare le dichiarazioni di Moscato, rendono altresì evidente come la vittima abbia tentato di mitigare la portata delle proprie dichiarazioni accusatorie, dimostrando la condizione di assoggettamento ed omertà già in atto nel contesto di riferimento». Le conversazioni intercettate a cavallo del periodo riferito da Moscato, «si connotano per la violenza dei contenuti e delle intimidazioni nei confronti della vittima che aveva osato pretendere il pagamento degli acquisti di pesce», scrivono i giudici.

«Gli devo spaccare la faccia a quello»

«Io lo sai cosa devo insegnare a questo, ah? Quando prende dieci cassette di gamberoni…» dice Scrugli parlando con Battaglia che replica: «Io gli devo spaccare la faccia a quello…». E poi documentano il fatto che Battaglia aveva effettivamente picchiato l’imprenditore. «(…) ma tu una volta lo hai picchiato?» chiede ancora Scrugli a Battaglia che risponde: «Io ieri, io ieri sì… apposta lo voglio picchiare di nuovo…». Gli elementi del delitto di estorsione consumata «appaiono tutti integrati, come integrate appaiono tutte le circostanze aggravanti contestate compresa l’associazione mafiosa», scrivono i giudici mentre è invece evidente «la condizione di assoggettamento di Ceravolo che dichiaratamente temeva Battaglia, Moscato e Fiorillo come persone pericolose». (g.curcio@corrierecal.it)

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