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«Alle Iene in onda il solito cliché»

«Raccontare, invece, come si doveva, anche ciò che è stato fatto e si sta facendo in Calabria per contrastare questo fenomeno»

Pubblicato il: 29/06/2024 – 13:32
di Ennio Stamile
«Alle Iene in onda il solito cliché»

«Qualche giorno fa, scorrendo il telecomando della Tv, mi è capitato per caso di fermarmi sulla puntata delle Iene, quasi interamente dedicata alla ‘ndrangheta. Tale programma di approfondimento, molto seguito dal pubblico televisivo italiano, com’è noto, propone inchieste e servizi giornalistici ricorrendo spesso ad uno stile irriverente e satirico. Alla fine della puntata mi sono tornate in mente del parole ripetute a mo’ di ritornello dall’Ecclesiaste o Qoelet, Libro sapienziale Antico Testamentario che, forse meglio di ogni altro Sacro Testo, descrive  la nostra condizione umana quando afferma: non c’è niente di nuovo sotto il sole! Mi sono chiesto ancora una volta che fine ha fatto il giornalismo vero, quello che svincolato dalle logiche editoriali, quasi sempre legate ad un partito o ad una lobby di potere economico, ha come fine, solo ed esclusivamente, quello di raccontare la verità, onde consentire al pubblico di poterla conoscere in tutti i suoi aspetti. Da svariati decenni a questa parte sappiamo che in Italia ciò accade di rado. Sono poche quelle Testate giornalistiche o trasmissioni televisive libere di poter informare la pubblica opinione senza prima passare attraverso il setaccio dei padroni. Eppure, sono molti i martiri di questo mestiere uccisi per aver creduto in un giornalismo etico come ricordava Pippo Fava: “Ritengo che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali. Ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! Ecco lo spirito politico del Giornale del Sud è questo! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”.
Quando si deve raccontare la nostra Terra di Calabria si ricorre al solito cliché, già bello e confezionato: basta mettere insieme immagini di repertorio su San Luca e Polsi, condito con un po’ suspense in cui i giornalisti, accompagnati dagli intrepidi “cacciatori di Calabria”, eroi senza macchia e senza paura, s’infilano nei cunicoli di Platì ed il gioco è bello è fatto. Raccontare, invece, come si doveva, anche ciò che è stato fatto e si sta facendo in Calabria per contrastare questo fenomeno, dei giovani che ci mettono la faccia, gestendo beni confiscati con le poche risorse che hanno a disposizione senza alcun aiuto dal parte dello Stato. Ciò che grazie anche all’ impegno del Rettore del Santuario di Polsi, don Antonio Saraco, si sta facendo in quel luogo, che aiuta i pellegrini a vivere momenti di vera spiritualità mariana, facendo sperimentare quell’abbraccio davvero suggestivo, unico ed incontaminato dei monti dell’Aspromonte, non si è fatto nemmeno un minimo accenno. Quando si tratta di raccontare la Calabria, tutto deve apparire come irreversibilmente soggetto a questo male endemico; soprattutto le processioni i riti e le feste religiose. Scrivere su ciò che di bello e importante è stato fatto e si sta facendo, non solo nella Locride; delle denunce, delle ferme e coraggiose prese di posizione della Conferenza Episcopale Calabra, delle cooperative e centri formativi e pastorali, sorti nei beni confiscati, nessun riferimento. Ben ha ragione Mons. Francesco Oliva, Vescovo di Locri, che in una nota stampa pubblicata ieri si chiede: “Cui prodest? A che giova vedere sempre gli stessi filmati che riguardano Polsi e la chiesa di Prisdarello? Forse alla stessa ‘ndrangheta che vedendosi riproposti in TV si sentiranno importanti e famosi?”. Certo non giova alla Calabria, men che meno al vero volto del Giornalismo, che dovrebbe ricordarsi, proprio per essere tale, di quei tanti colleghi che ci hanno rimesso la vita, perché hanno creduto sull’ indispensabile contributo alla democrazia di questo antico e nobile mestiere». (redazione@corrierecal.it)

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