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l’intervista del corriere della calabria

La nuova frontiera delle terapie cellulari, Luminari: «Intravediamo un futuro senza chemioterapici» – VIDEO

A Reggio la tre giorni di confronto promossi dal centro trapianti. Alati: «Sempre più spazio alle terapie di combinazione»

Pubblicato il: 29/06/2024 – 14:52
di Danilo Monteleone
La nuova frontiera delle terapie cellulari, Luminari: «Intravediamo un futuro senza chemioterapici» – VIDEO

REGGIO CALABRIA Controversie e discussione, sono questi alcuni dei termini più ricorrenti nella tre giorni in corso a Reggio Calabria ed incentrata sul confronto tra professionisti dell’ematologia e della trapiantologia. Il luogo scelto non è un caso, proprio nella città dello Stretto è operativo, da tempo, un centro di eccellenza capace di segnalarsi per competenza e performance a livello nazionale e non solo. Molti i ricercatori giunti da fuori regione per approfondire tutti gli aspetti che caratterizzano la nuova frontiera delle terapie cellulari. «È molto importante essere qui in un centro di eccellenza calabrese a parlare di futuro. Dibattiamo – dice al Corriere della Calabria Stefano Luminari, ematologo all’ospedale  IRCCS di Reggio Emilia e docente dell’Università di Modena-Reggio Emilia –  sull’utilizzo di farmaci che fino a qualche anno fa non immaginavamo neanche potessero arrivare in clinica. Parliamo di mieloma, di linfomi ed i farmaci di cui discutiamo hanno la capacità di rivoluzionare gli attuali concetti che ci guidano nella scelta terapeutica. Di fatto ci permettono di intravedere per i nostri pazienti un futuro senza chemioterapici, sfruttando e stimolando le capacità del sistema immunitario nel combattere la malattia in maniera più fisiologica».

Farmaci CAR T e bispecifici

Le opzioni sul tavolo, ed oggetto anche del confronto a Reggio Calabria sono due, intanto le CAR T, una sorta di farmaco vivente che inizia con il prelievo dei linfociti del paziente, linfociti che vengono poi ingegnerizzati con l’introduzione del recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor) capace di riconoscere le cellule tumorali. I linfociti CAR-T sono poi infusi nel sangue del paziente per attaccare e distruggere le cellule tumorali. L’altra opzione è quella dei farmaci bispecifici, si tratta di anticorpi monoclonali, sintetizzati in laboratorio utilizzando tecniche di bioingegneria o di ingegneria genetica, in grado di guidare le cellule del sistema immunitario verso quelle del tumore. Per Stefano Luminari «quella tra bispecifici e CAR T è una sfida tra due modalità di trattamento, una sfida solo all’inizio e credo che possiamo veramente dire che ne vedremo delle belle». Un percorso che investe direttamente i centri di eccelelnza «certo – aggiunge Luminari – i risultati clinici per il paziente sono molto importanti, ma è molto importante anche la sfida organizzativa che queste terapie comportano, si tratta infatti di terapie complesse che coinvolgono un sistema più che un reparto e dei singoli medici».

Le CAR T nella descrizione fornita appaiono ai profani della materia forse come qualcosa di più “innovativo”, ma anche gli altri farmaci hanno una potenzialità significativa «i farmaci bispecifici – spiega Luminari – dal punto di vista molecolare sono più simili a quelli che abbiamo sempre utilizzato, sono degli anticorpi ma diversamente da quelli che usavamo in passato e che riconoscevano solo un bersaglio, i bispecifici riconoscono due bersagli. Un bersaglio è la cellula tumorale, l’altro è una cellula di sistema immunitario, in particolare i linfociti. Il riconoscimento del doppio bersaglio, con la stessa molecola, porta ad avvicinare due cellule che solo per il fatto del “contatto fisico” si attivano l’una contro l’altra e in questo caso il sistema immunitario è capace di eliminare e distruggere la cellula tumorale». «Sono farmaci – specifica Luminari – molto potenti e ciò si traduce in alcune manifestazioni, alcuni effetti collaterali che stiamo imparando a gestire ma che di certo sono molto lontani dagli effetti delle chemoterapie che usavamo in passato». La domanda più scontata è se si sia in presenza di farmaci alternativi o in competizione «non esiste una regola che ci guidi. I due farmaci non sono mai stati confrontati testa a testa per dire che uno è meglio di quell’altro. Esistono caratteristiche dell’uno e dell’altro trattamento che ci permettono di definire un profilo ideale del paziente. CAR T richiede un ricovero, breve ma comunque ricovero che può essere associato a dei rischi, e sono farmaci che vengono somministrati in centri di riferimento che possono essere a chilometri, centinaia di chilometri dal domicilio del paziente. Il farmaco Bispecifico è invece un trattamento più simile a quanto utilizzato sinora, si somministra in day hospital, a volte anche sottocute, ed è una terapia continuativa che può essere fatta più vicino al domicilio del paziente, sempre in centri specializzati ma sicuramente più patient friendly e può essere utilizzato in maniera più diffusa in centri che non sono autorizzati a fare CAR T».

Alati: «Ci aspettiamo di dare sempre più spazio alle terapie di combinazione»

Ed a proposito delle promettenti risorse professionali di cui la Calabria può disporre in questi ambiti, nella tre giorni reggina una delle letture magistrali è stata affidata ad una giovane professionista in servizio presso l’unità operativa di ematologia del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria, Caterina Alati, chiamata ad approfondire quello che può essere il futuro della terapia nelle leucemie acute «ll trattamento delle leucemie mieloidi acute negli ultimi dieci anni si è modificato, il panorama di nuovi agenti target e di nuove immunoterapie si è infatti notevolmente ampliato». «Questo – ci dice Alati – ha certamente permesso di migliorare gli outcomes intesi come risposte al trattamento e sopravvivenza ma ancora adesso ci sono degli aspetti che possono essere migliorati».
«In futuro – aggiunge Alati – ci aspettiamo di dare sempre più spazio alle terapie di combinazione, combinare quelli che noi definiamo backbone e cioè delle chemioterapie e degli approcci terapeutici moderni, con farmaci target che hanno più efficacia e meno tossicità». C’è un elemento a cui occorre prestare attenzione, quando si parla di futuro non vuol dire che il percorso non sia già in atto, anzi «da alcuni anni abbiamo iniziato ad utilizzare questi farmaci target, per esempio – specifica Alati – una leucemia mieloide acuta che si caratterizza per una particolare mutazione genica che si chiama FLIT3 già da diversi anni viene curata attraverso l’associazione della chemioterapia standard con un inibitore di FLIT3 che si chiama midastaurina». Un percorso dunque già iniziato e che segna ulteriori progressi «qui presento dei dati – aggiunge Alati – illustrati allo scorso EHA, il congresso europeo sulle malattie ematologiche, ed in cui ci sono delle evoluzioni con nuovi agenti target. Degli esempi?  «Il Quizartinib ed il Crenolanib che sono nuovi inibitori di FLIT3 che oggi vengono utilizzati in sperimentazione, sono stati già approvati da FDA, la Food and Drug Administration, l’organismo di controllo americano, e che presto arriveranno anche in Italia dopo l’approvazione dell’organismo europeo ed italiano». La considerazione conclusiva, dunque, è presto formulata «in realtà parliamo di un futuro che non è poi così lontano, anzi sarà immediato. Il Centro di Ematologia e Centro di Trapianti di Reggio Calabria, così come accade in molte altre città italiane, può offrire di questi farmaci attraverso varie modalità, i trial clinici, le sperimentazioni cliniche, o gli usi cosiddetti compassionevoli che permettono un accesso più rapido. Siamo insomma all’ultimo passo, ci sono già stati gli studi di fase 1 e 2 che di solito valutano la sicurezza del farmaco, gli studi di fase 3 valutano l’efficacia ed hanno già dato risultati consolidati. Ciò consentirà l’introduzione rapida di questi farmaci nel commercio ma   ce ne sono tanti altri in via di studio in fase 1 e 2». L’ultimo argomento passato in rassegna da Caterina Alati riguarda l’impegno nel centro di ematologia reggino «faccio parte di un gruppo italiano che si occupa di leucemia mieloidi acute e linfoblastiche acute, molte delle nostre realtà sono simili. È ovvio che ci sono centri ematologici che hanno un’accessibilità strutturale più semplice, ma nelle nostre strutture non manca sostanzialmente niente. Forse manca del personale ma in realtà siamo in grado di offrire al cittadino ed al paziente gli stessi approcci terapeutici che potrebbe ricevere in una qualsiasi altra ematologia italiana, certo con qualche sacrificio personale e un po’ di dedizione in più ma di sicuro  con una qualità di lavoro adeguata». (redazione@corrierecal.it)

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