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la riflessione

La “cameriera di Catanzaro” e Petruzza di Campagnella

Cameriere champagne, è la prima cosa che mi viene in mente, caro Feltri. Anzi, no. La prima cosa che mi viene in mente è la rabbia. Perché, se trovo misero e squallido il suo accostamento della Sa…

Pubblicato il: 30/06/2024 – 20:25
di Felice Foresta
La “cameriera di Catanzaro” e Petruzza di Campagnella

Cameriere champagne, è la prima cosa che mi viene in mente, caro Feltri. Anzi, no. La prima cosa che mi viene in mente è la rabbia. Perché, se trovo misero e squallido il suo accostamento della Salis alle cameriere di Catanzaro, provo ancora più amarezza nel rammentare che proprio Catanzaro si sia riscoperta, dopo le europee di 20 giorni fa, la città più leghista d’Italia. Qualcosa non mi quadra. Molta indignazione mi sa, allora, è un po’ vanesia e un po’ codarda. Caro Feltri, vede, non è il suo appunto sull’abbigliamento che mi ha disturbato, o il paragone offensivo in cui, con lacerante ricorrenza, si è ancora una volta prodotto. A me, quella che non va giù è la mancanza di rispetto verso le cameriere. Che siano di Catanzaro o di Novedrate poco importa. E sa perché, caro Direttore? Perché la prima cameriera che io ricordi ha avuto per me solo lo stigma – sì, lo stigma tanto è stata decisiva per la mia vita – di un oracolo. Aveva i capelli bianchi e argentei, un sorriso rovinato e solchi sulle mani, Petruzza. Era di Campagnella, un quartiere a Sud di Catanzaro che guarda a Oriente.
Per un po’ di anni aiutò mia madre nel governo di casa. Mia madre, cittadina di Palermo, trovò in lei la concretezza e la dignità, il coraggio e il pragmatismo di chi è stato educato alla vita dalla maestra più brava, la campagna. Non aveva studiato, eppure aveva una cultura tutta sua per scorticare le persone e leggerci dentro. Quando facevo colazione, i nostri discorsi erano diversi, le sue parole tantissime e pesanti come il suo nome. Erano pietre, anzi pietruzze, che non fanno male, ma scendono a fondo. Aveva un grandissimo intuito, e un grande senso pratico. E, soprattutto, la capacità di capire il cammino. All’epoca, ero convinto che da grande volessi fare il medico. Petruzza, no. A te piace la parola. Tu sei nato per fare l’Avvocato. Confutava con garbo e convinzione. Anche in quel caso, ebbe ragione. Non so se Petruzza avesse in mente il modestissimo Avvocato che sono poi diventato. Di certo, l’amore per la parola, da mamma di campagna, Petruzza l’aveva scovato nel cortile dei miei anni immaturi. Di zuppa, di pane e latte. Di certo, caro Feltri, Petruzza – che da tempo, purtroppo, ha oltrepassato la soglia dell’invisibile – l’avrà già perdonato, e anche a nome di tutte le cameriere di Catanzaro. Perché lei amava la parola. Ciò che, da tempo, lei non governa più. Ed è questo che, anche oggi, fa pena anche a una petruzza.

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