«Mio nonno salvò un’intera mandria di capre aspromontane: “hanno la febbre”, disse, suggerì che venissero focate con ferri incandescenti. Il massaro seguì il consiglio ed ebbe ancora un gregge. A scuola, sempre nonno, non ci era mai andato, recitava a memoria almeno cinque poemi cavallereschi, di quelli sconosciuti, le opere note sapevano recitarle tutte. Conosceva i segreti della semina e della raccolta, stava dietro alle fasi lunari. Interrogava le bestie su alluvioni e terremoti. Il ferro del piccone non la reggeva la sua forza. E no, nessuno di noi ha raccolto la sua eredità. Nessuno si è legato al suo sapere. Perché? Perché ci hanno fregato. Ci hanno convinto che bisognava studiare, laurearsi. Ma non studiare di bestie e terra, che se no sempre paesani si rimaneva. Il salto lo si faceva con le scienze, le leggi, i numeri. Studiare per stare lontani da zolle e selve. E il fatto che si debba dibattere su parole di Feltri spiega bene lo stato del Paese. Nonno, fosse vivo, non saprebbe chi sia Feltri, lo avesse visto, «perché lo fanno vedere senza bavaglino, che si sbrodola tutto?», avrebbe liquidato la cosa con la battuta di un secondo senza tornare più sull’argomento, sarebbe andato a letto progettando una mastra d’acqua, una gabbia di pietre, immaginando quanti si sarebbero riparati fra cento anni all’ombra degli alberi che avrebbe piantato al risveglio. Ogni sera ragionava di un’idea che il giorno dopo avrebbe potuto contribuire a migliorare il luogo a cui apparteneva. Era la prospettiva dei nonni che vedeva il futuro fra progetto(pure sogno) e lavoro. Una prospettiva tradita dai padri che invece il futuro dei figli lo intersecavano con la scuola per lo scatto sociale, la rivalsa, il riscatto. “Passare fra quelli di sopra” era il mantra. Le generazioni hanno cercato le lauree, nessuno è rimasto fra quelli di sotto per sognare il futuro fra progetto e lavoro. Stiamo tutti sopra senza avere niente sotto e dietro che ci sostenga. Parliamo del nulla, ci pieghiamo agli insignificanti dibattiti che ci propongono, innescati dalla caricatura di giro. Avercene di cameriere di Catanzaro».
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