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il re dei narcos

‘Ndrangheta e narcotraffico, i soldi «a Torino e Milano» e i sommozzatori per recuperare la coca a Gioia Tauro

I racconti del nuovo pentito Vincenzo Pasquino. I 180mila «forniti da Stefano Nirta», la vendita di 17kg in Germania e il carico sequestrato a Natale

Pubblicato il: 01/07/2024 – 16:21
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta e narcotraffico, i soldi «a Torino e Milano» e i sommozzatori per recuperare la coca a Gioia Tauro

REGGIO CALABRIA «Stefano Nirta ci ha effettivamente mandato 180mila euro per acquistare una partita di cocaina da fornitori brasiliani. Normalmente i soldi necessari per pagare la cocaina arrivavano da San Luca a Torino o a Milano, tramite persone incaricate da Stefano Nirta, tra cui Antonio Giampaolo». È un fiume in piena Vincenzo Pasquino (classe ’90) davanti ai magistrati della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria. I suoi racconti sono destinato a “scardinare” e a far luce sulle rotte milionarie del narcotraffico internazionale, e la famiglie chiamate in causa.
Realtà che Pasquino conosce alla perfezione. Il classe ’90, infatti, è nato a Torino ed è considerato membro di spicco della ‘ndrangheta calabrese e inserito a pieno titolo ai vertici del locale di ‘ndrangheta di Volpiano, in Piemonte, ma anche un esponente della “nuova generazione” del locale di Volpiano, soprattutto dopo le varie operazioni che avevano colpito la famiglia Assisi e quella degli Agresta e la detenzione del boss, Antonio Agresta (cl. ’60).



Il “gruppo” di Pasquino

«Da Torino o Milano, tramite i “doleiro”, partivano i soldi per tutto il mondo, trattandosi di un’organizzazione che si avvale di persone di origine cinese, araba e di altre nazionalità». «Nel caso dei 180mila euro, i soldi di Nirta arrivarono alla “casa di cambio” di San Paolo, gestita da un tale (…) di cui spesso ci servivamo per la trasmissione del denaro. Il reale proprietario di questa casa di cambio era un importante narcotrafficante brasiliano».  «Noi – spiega ancora Pasquino – normalmente consegnavamo il token (una banconota) a (…) che, verificata la corrispondenza, ci consegnava la somma trasmessa». Del gruppo citato da Pasquino «facevano parte Rocco Morabito un (…) detto “Cetto” o “Marcello” il turco Giorgio Rafat detto il “re della frontiera” nonché i platioti Pino Grillo e (…)». «Dopo la riunione di San Paolo si era creata un’unica organizzazione (…) di cui facevamo parte io, Ivano Piperissa, Stefano Nirta e Sebastiano Giampaolo. Tutti insieme ci occupavamo del recupero della droga dal porto di Gioia Tauro e della successiva vendita».

I contrasti con il gruppo di San Luca

«Noi (…) eravamo più propensi a vendere la cocaina in blocco direttamente al porto» ha spiegato ancora Pasquino nel verbale del 17 maggio 2024, «così da scongiurare il rischio di sequestro». Il gruppo di San Luca (in particolare Stefano Nirta), invece, «non accettava di vendere la droga all’arrivo, avendo interesse a riceverla e venderla personalmente anche al Nord Italia, dove avevano un’articolazione. Questo perché il gruppo di San Luca intendeva manifestare all’esterno la loro presenza e la riconducibilità a loro della cocaina che si vendeva». Nel corso delle sue dichiarazioni, Pasquino elenca le importazioni non andate a buon fine e i sequestri di decine di chili di cocaina. «Poi – spiega il pentito – per i Sanlucoti abbiamo fatto un carico che è andato a buon fine, era un test di 17 kg realizzato nel 2018 mediante uso di sommozzatori sotto la chiglia, e in quel carico era coinvolto solo Sebastiano Giampaolo e non Stefano Nirta».
E spiega ancora Pasquino: «Sebastiano Giampaolo pagò questo carico, ma successe poi un trambusto poiché Ivano Piperissa, che poi aveva necessità urgente di soldi per coprire il successivo carico dei 75 kg ad Anversa caricati nella legna e provenienti dal Paranaguà (Brasile ndr), accelerò la vendita dei 17 kg di cui sopra, in Germania». «Preciso meglio che in realtà Piperissa mi anticipò dei soldi, in particolare mi diede 200mila euro circa, per un carico che avrei dovuto fare per Palermo per i palermitani. Carico che io poi non feci, in quanto, con il suo accordo, pagai con questi la “salida” di 150mila euro dei 75 kg ad Anversa sopra citati, prima mai pagata: con il resto dei soldi comprai l’attrezzatura subacquea per effettuare ulteriori carichi sotto le navi».  



Il carico sequestrato a Natale

«Nel frattempo, la nave con i 17 kg di cui ho parlato, a seguito di vari problemi legati a scioperi, era giunta a Gioia Tauro. I 17 kg quindi furono presi 3 da (…) ed il restante da Piperissa che li vendette in Germania, per rifarsi dei soldi che nel frattempo mi aveva concesso. Questi 8 kg li vendette direttamente in Germania». «Poi abbiamo fatto i 100 Kg partiti dal Porto di Bolivar con una nave diretta a Gioia Tauro, nave che ha fatto transito in Colombia o a Panama. La cocaina era nascosta in un container di trasporto banane. I panetti erano marroni con scritta nera su fondo bianco “Tam o “Tem”. Questo carico lo abbiamo fatto nel 2020, nel periodo di Natale. E, arrivato a Gioia Tauro, è stato sequestrato dalla GdF». (g.curcio@corrierecal.it)

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