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la nuova galassia criminale

La “Santa”, la massoneria deviata e la sottovalutazione della ‘ndrangheta. «Il partner più affidabile a livello internazionale»

«C’è chi è coperto da sistemi deviati». In Calabria «un arcipelago di cosche legate da un sistema federale, ma c’è chi le organizza»

Pubblicato il: 02/07/2024 – 18:35
di Fabio Benincasa
La “Santa”, la massoneria deviata e la sottovalutazione della ‘ndrangheta. «Il partner più affidabile a livello internazionale»

COSENZA I dati contenuti nella relazione della Dia, presentata all’Unical è relativa al primo semestre 2023, non contengono i numeri delle recenti operazioni concluse dalla Distrettuale Antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria. Non possono essere evidentemente oggetto di studio, ma il quadro tratteggiato dal Capo Centro della Dia di Catanzaro Beniamino Fazio è evidentemente a tinte fosche.

Dalla Santa alle stragi

La ‘ndrangheta è in continuo mutamento, questo è il granitico assunto dal quale occorre partire per analizzare il fenomeno legato alla evoluzione della criminalità organizzata calabrese. Fino agli anni ’60, la piramide con piano orizzontale rappresentava la base dei sodalizi criminali, poi con la “Santa” cambia tutto: i vertici della ‘ndrangheta si legano indissolubilmente alla massoneria deviata e criminale. Che non rappresenta «una novità, ma si tratta di un sistema collaudato da 40 anni. Esiste una «’ndrangheta visibile ma la più insidiosa è quella invisibile che si mescola con imprenditori di successo, con persone che riteniamo serie e affidabili. La vera pericolosità è rappresentata da coloro che sono coperti da sistemi deviati», sostiene Beniamino Fazio.

Beniamino Fazio

C’è un episodio che consente di circoscrivere un ulteriore momento cruciale nel percorso evolutivo della ‘ndrangheta. E’ il 1991, «quando i Corleonesi si riuniscono con i Palermitani e i Catanesi ad Enna, in quel momento percepiscono in maniera chiara come il maxi processo possa far loro del male in termini di condanne e decidono di dare seguito al piano stragista». Ma una cosa sfugge anche agli osservatori più attenti, Cosa nostra chiede la ratifica del progetto ai clan calabresi, «senza loro non possono fare nulla», sostiene Fazio.
Ed ecco che Totò Riina «interviene nella seconda guerra di mafia a Reggio Calabria per pacificare le cosche ed ottenere l’adesione della ‘ndrangheta». Senza questo sigillo, «non avrebbero mai attivato la strategia stragista». Nella lunga scia di morti ammazzati finiti nel lungo elenco dei killer mafiosi, trovano spazio anche i carabinieri Fava e Garofalo: un duplice delitto consumato il 18 gennaio 1994 a Scilla inserito in un quadro più ampio che segnerà per sempre la storia d’Italia.

La ‘ndrangheta sottovalutata

Il sangue, gli omicidi, le esecuzioni in pieno centro e in pieno giorno rappresentano le più nitide manifestazioni del potere mafioso. Un esercizio coercitivo che piega anche gli imprenditori a pagare la tassa non dovuta, il pizzo, in un regime governato da minacce ed estorsioni. L’attenzione delle forze dell’ordine e della magistratura è alta e l’immediata conseguenza della forza violenta e assassina esercitata dagli uomini di Cosa nostra è «calamitare in Sicilia tutte le migliori forze investigative», sottolinea Fazio. «Ma – osserva – la Calabria viene completamente dimenticata, la ‘ndrangheta sottovaluta e questo è l’elemento che consente alla stessa di rafforzarsi». Oggi la ‘ndrangheta – come dimostrano alcune delle più recenti operazioni coordinata dalla Dda di Catanzaro, è rappresentata da «un arcipelago di cosche collegate tra loro da un sistema federale, alcuni clan mantengono l’autonomia ma gerarchicamente c’è qualcuno che le organizza», precisa Fazio.

Il narcotraffico, il core business principale

Nella corposa relazione della Direzione investigativa antimafia, illustrata da Beniamino Fazio non può mancare un “fascicolo” dettagliato ed evidentemente ancora aperto dedicato al narcotraffico. «La ‘ndrangheta è il partner più affidabile a livello internazionale per quanto attiene il narcotraffico, dalla Colombia, all’Ecuador al Brasile passando per l’Africa centrale e la Libia». Lo snodo è ovviamente il «Porto di Gioia Tauro» ed in tal senso occorre richiamare le due distinte operazioni condotte dalla Guardia di finanza nel corso del periodo di riferimento della relazione (primo semestre 2023) concluse con il sequestro complessivo di circa tre tonnellate di cocaina».

Dove vanno a finire tutti questi soldi?

Le valigie piene di contanti attraversano l’Italia, e vengono reinvestiti dalle cellule ‘ndranghetiste attive al Nord. «A Milano troviamo i Bellocco, in Emilia Romagna i crotonesi, a Roma gli Alvaro, i Molè, i Mancuso e i Piromalli». La domanda è banale, ma necessaria. Dove finiscono tutti questi danari? «Gli appetiti criminali, in Italia, riguardano il Pnrr, i Giochi Olimpici e il Giubileo del 2025, oltre al Ponte sullo Stretto», aggiunge Fazio. Ma il denaro deve essere investito e non solo intercettato. «Attraverso segnalazioni sospette abbiamo contezza di investimenti in Italia settentrionale, mentre in Calabria vengono i soldi vengono reinvestiti in imprese. Per gli uomini di ‘ndrangheta non esiste il rischio di impresa, ma possono produrre beni senza limiti di costo e sbaragliare la concorrenza», precisa Fazio. Che ricorda: «Durante il Covid mentre le banche chiudevano le porte alle imprese, la ‘ndrangheta prestava denaro ad usura».

Usura, estorsioni e appalti: il mondo è cambiato

L’evoluzione comporta anche un drastico cambiamento che non riguarda solo l’organizzazione della mala, ma anche e soprattutto la gestione dei business illeciti. Se prima sparare e uccidere rappresentava il mezzo quasi obbligato ed obbligatorio per mostrare i muscoli ai clan rivali e spazzare via gli avversari dai territori di interesse, oggi quelle armi vengono utilizzate sporadicamente e solo per regolamenti di conti interni o esterni al clan. Ma si tratta di omicidi che rischiano, spesso, di annebbiare la vista ed offuscare il giudizio della società civile. Che frettolosamente bolla i fatti di sangue come episodici e lontani dall’interesse collettivo. «Nulla di più falso», sottolinea Beniamino Fazio. La diminuzione degli omicidi non deve trarre in inganno e spingere ad «una nuova sottovalutazione della pericolosità della ‘ndrangheta». D’altra parte è evidente come la criminalità abbia impresso un new deal rispetto all’esercizio della forza e del potere. basti pensare alle estorsioni, «che non avvengono come in passato: oggi si impone il caffè ai bar, la carne alle macellerie, il cemento alle ditte». Le ‘ndrine «utilizzano imprese compiacenti per sovrafatturare i prezzi, ottenendo in questo modo una percentuale di estorsione», tutto grazie alla compiacenza di «consulenti e avvocati conniventi», chiosa Fazio.

I comuni nel mirino dei clan e il ruolo della società civile

L’ultima riflessione, Beniamino Fazio la dedica ai comuni infiltrati dalla mala ed al ruolo prezioso degli imprenditori chiamati a denunciare le richieste estorsive. La società civile gioca un ruolo determinante, gli elettori scelgono di affidare il consenso ed il voto ai candidati preferiti, coloro che poi saranno chiamati a rappresentarli nelle sedi istituzionali e decisionali. Ed allora non bisogna dimenticare che la ‘ndrangheta rappresenta «un grosso serbatoio di voti e oggi nei comuni riscontriamo una permeabilità alle organizzazioni mafiose, soprattutto nei centri più piccoli tramite – ad esempio – il ricorso agli appalti sottosoglia», dice Fazio. Che sottolinea il lavoro delle prefetture «nel fare da filtro con le imprese e particolarmente sensibili dinanzi alle amministrazioni a rischio infiltrazione». Per quanto riguarda il ruolo degli imprenditori, vittime di richieste estorsive, la posizione del Capo Centro della Dia è netta: «Se l’imprenditore denuncia fornisce un aiuto, se paga i clan vanifica le attività delle forze di polizia. Ci vuole un cambio di rotta. E’ bene ricordare che anche l’imprenditore del Nord, che decide di investire in Calabria, paga l’estorsione». (f.benincasa@corrierecal.it)

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