LAMEZIA TERME «Essere oggi a Lamezia è un motivo di orgoglio per me». Continuano le visite della Presidente della Corte d’Appello di Catanzaro Concettina Epifanio, che oggi ha fatto tappa al Tribunale di Lamezia Terme, dove ha incontrato il Presidente Gianni Garofalo e partecipato alla commemorazione di Francesco Ferlaino, giudice ucciso dalla ‘ndrangheta 49 anni fa. «Mi sono insediata da appena un mese. La prima cosa a cui ho pensato è stata la visita nei tribunali del distretto» ha detto ai microfoni del Corriere della Calabria. Dopo essere stata a Paola, Castrovillari e Cosenza è toccato oggi alla sede lametina, poi verrà il momento di Crotone, Vibo e Catanzaro. «Incontrare i colleghi non è solo motivo di orgoglio, ma è anche necessario. Io non posso iniziare a lavorare senza prima sapere in quale realtà territoriale, in quale contesto mi trovo e chi sono le persone che insieme a me sono impegnate in questo esercizio della giurisdizione».
Proveniente da quello di Reggio, Epifanio si troverà ad affrontare i problemi di un altro distretto per nulla semplice da gestire. «Provengo da un distretto oggettivamente difficile, ma messo adesso a confronto con Catanzaro, capisco come tutto sommato le difficoltà che si sono lì sono comune minori». In primis, a partire dalle dimensioni: «Quello di Reggio è un distretto piccolino con tre tribunali all’interno. Qui sono sette i tribunali, oltre agli uffici, il tribunale per i minorenni, di sorveglianza e questo amplifica le difficoltà. Il territorio è molto vasto e non è un compito facile».
La Presidente della Corte d’Appello affronta poi il dibattuto binomio tra giustizia e repressione. «Quando parliamo di repressione ci riferiamo alla giurisdizione penale, che ha più presa mediatica. Ma la giurisdizione è anche civile e questo significa dirimere controversie, dire dove sta il torto e dove sta la regione quando due o più persone litigano. Significa anche occuparsi delle famiglie, di quello che avviene all’interno, della patologia, del rapporto coniugale. La giurisdizione è molto ampia». Diverso è il discorso per l’ambito penale, in cui la repressione è effettivamente percepita di più. «La giustizia penale è repressione, perché si tratta di applicare pene se i reati sono stati commessi. Ma se noi ci affidiamo tutti al momento della repressione, sbagliamo». La sfida, secondo Epifanio, è «far si che alla repressione non si arrivi, ma che si prevenga». Una prevenzione in cui anche «i giudici possono fare la loro parte, non applicando le pene, ma andando nelle scuole a parlare di legalità. Ma tutta la società deve impegnarsi per la prevenzione dei reati». Infine, una riflessione sul ruolo sociale di giudici e magistrati: «Negli ultimi anni la magistratura è stata vista come una casta, ha avuto un calo di consensi. Il giudice non deve avere il consenso delle persone, ma la fiducia. E sono cose diverse: il consenso lo devono avere i politici, la magistratura deve avere la fiducia». (redazione@corrierecal.it)
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