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Migranti: storie di disumana indifferenza

Il Post oggi pubblica un pezzo di approfondimento sulle migliaia di morti in mare restituendo loro dignità e interesse pubblico

Pubblicato il: 04/07/2024 – 14:29
Migranti: storie di disumana indifferenza

LAMEZIA TERME Esistono notizie di cronaca che agitano la società civile e altre alle quali ci si abitua troppo in fretta. È il caso delle morti in mare: uomini, donne e bambini che rincorrono la speranza ma annegano disperati. A raccontare queste storie – troppo spesso – restano solo le testate locali, mentre i grandi giornali e i media nazionali si limitano a qualche spazio di spalla e un paio di risicati passaggi televisivi. Per fortuna, però, ci sono colleghi sensibili che approfondiscono e ai migranti riservano un spazio diverso. È il caso del pezzo del giornalista Luca Misculin che sul Post pubblica un pezzo interessante, partendo dal naufragio di due settimane fa al largo delle coste calabresi.

«Lunedì 17 giugno una barca a vela di turisti francesi – scrive Misculin – che stava navigando nel Mediterraneo orientale ha notato un’altra barca a vela, semiaffondata, a circa 150 chilometri di distanza dall’isola greca di Zante, e 250 dalle coste della Calabria. A bordo della barca a vela semiaffondata c’erano 12 persone migranti. Erano soltanto una piccola parte di quelle che erano partite una settimana prima da Bodrum, in Turchia. Fra i corpi recuperati nei giorni successivi e le persone disperse si stima che in tutto siano morte nella traversata circa 70 persone. Questi numeri rendono il naufragio della barca individuata il 17 giugno il più grave degli ultimi anni sulla rotta fra la Turchia e la Calabria dopo quello avvenuto a Cutro, in provincia di Crotone, fra il 25 e il 26 febbraio 2023, nel quale morirono 98 persone. Eppure la copertura della notizia sui giornali italiani non è stata troppo ampia (sul Post ce ne siamo occupati con tre articoli, e un quarto su un presunto stupro avvenuto durante la traversata). Il naufragio di Cutro invece occupò per giorni le prime pagine di tutti i giornali e spinse addirittura il governo a tenere un Consiglio dei ministri di emergenza a Cutro, con annessa una disastrosa conferenza stampa. Diverse persone che si sono occupate dell’accoglienza e dei bisogni dei familiari dei morti che nei giorni scorsi sono arrivati a Roccella Ionica accusano il governo di essere intervenuto in diversi modi per evitare che il naufragio del 17 giugno diventasse una storia dalle dimensioni paragonabili a quello di Cutro, quindi potenzialmente dannoso per il governo. Il governo ha respinto informalmente queste accuse. A una minore copertura dei giornali hanno probabilmente contribuito anche altri fattori, più intangibili e legati alle circostanze del naufragio».

I numeri

«Nel 2023 – prosegue il pezzo – sono arrivati via mare in Calabria 13.202 migranti: un numero più basso rispetto al 2022, quando furono circa 18mila, ma più alto rispetto ai 9.600 arrivi del 2021. Non sappiamo esattamente quante persone siano partite e mai arrivate: la rotta è così lunga e il tratto di mare così pericoloso che alcune barche semplicemente spariscono senza lasciare traccia. Di solito il viaggio è organizzato da trafficanti di esseri umani che lavorano in Turchia. Le barche sono in condizioni migliori rispetto a quelle che partono dalla Libia e dalla Tunisia; alla guida molto spesso ci sono skipper e marinai esperti, che scappano poco prima di arrivare nei pressi delle coste calabresi. Fra il 17 e il 24 giugno le navi della Guardia Costiera con a bordo i corpi delle persone che si trovavano a bordo della barca a vela sono state fatte sbarcare in diversi porti calabresi, quindi non soltanto quello di Roccella Ionica. Alcuni corpi sono stati portati a Gioia Tauro, altri a Crotone, cioè 130 chilometri più a nord. Il lungo tragitto per andare e tornare dall’area del naufragio ha fatto sì che le navi della Guardia Costiera rientrassero nei porti italiani spesso di notte, quando ormai il buio impediva le ricerche. La scarsa luce ha anche impedito ai giornalisti che si trovavano nei porti di capire e documentare quello che stava succedendo. Questa complicazione si è aggiunta a uno scarso accesso ai porti dove sbarcano le persone migranti di cui i giornali locali calabresi si lamentano ormai da anni».

I familiari delle vittime

«Dai porti – scrive Misculin – i corpi sono stati poi trasferiti nelle camere mortuarie di un numero ancora più alto di ospedali. L’associazione Med.Med, che nei giorni scorsi ha assistito alcune persone sopravvissute, ne ha contati almeno 6: Locri, Polistena, Soverato, Siderno, Gioia Tauro, Reggio Calabria. Questa condizione ha creato difficoltà soprattutto ai familiari delle persone che si trovavano sulla barca a vela e che nei giorni successivi al 17 giugno hanno iniziato ad arrivare da tutta Europa a Roccella Ionica, per cercare di avere informazioni. All’inizio è stato molto difficile. La prefettura di Reggio Calabria, che ha la competenza su Roccella Ionica, non aveva un canale diretto coi familiari, che non sapevano a chi e dove chiedere per avere informazioni sui sopravvissuti e sui morti. Nel caso del naufragio di Cutro la gestione dei luoghi era stata molto più centralizzata. Tutti i sopravvissuti vennero sistemati nello stesso posto, due padiglioni del CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Crotone. Tutti i corpi vennero sistemati in bare nel PalaMilone, un palazzetto dello sport sempre a Crotone. Le 16 persone sopravvissute vennero tutte ricoverate all’ospedale cittadino di San Giovanni Di Dio. Nei giorni successivi al naufragio diverse persone coinvolte nell’assistenza dei superstiti e dei familiari dei morti hanno ragionato sul perché sui giornali si sia parlato così poco del naufragio del 17 giugno. Alcuni ritengono che il naufragio di Cutro fosse più facile da raccontare per via di una serie di elementi visivi, che nei giorni seguenti furono mostrati da giornali e social network: il relitto della barca incagliato sulla spiaggia, le file di bare nel PalaMilone, le proteste organizzate dei familiari delle persone morte. A mostrare fisicamente il naufragio del 17 giugno non c’è stato nulla di tutto questo. Secondo alcuni le autorità italiane ci hanno messo del proprio, per evitare di creare un caso simile a quello di Cutro. Altri hanno provato a riconoscere i corpi delle persone morte dal vivo, oppure attraverso fotografie mostrate loro dalla polizia. Le condizioni dei corpi sono talmente deteriorate che al momento soltanto una persona è stata riconosciuta ufficialmente: è un uomo afghano di 29 anni, si chimava Akbari Sobhanullah. Per gli altri non è stato possibile. «I corpi non erano soltanto gonfi, ma sembra siano stati mangiati dai pesci. Di alcune persone hanno trovato soltanto dei pezzi», spiega Momi di Medici Senza Frontiere. La Diocesi di Reggio Calabria ha promesso che sosterrà le spese dei rimpatri di tutti i corpi delle persone morte nel naufragio, se e quando verranno identificate».

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