COSENZA L’aula bunker di Lamezia Terme si ripopola di avvocati e imputati. Il processo celebrato con rito ordinario dinanzi al Tribunale di Cosenza, scaturito dall’inchiesta “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro, prosegue. La pioggia battente regala un po’ di tregua dopo giorni segnati dal caldo torrido. In videocollegamento compare la collaboratrice di giustizia Anna Palmieri, pronta a raccontare fatti e misfatti legati alla mala cosentina: business illeciti, ruoli, segreti confessati e inconfessabili.
Collaboratrice dal 18 dicembre 2018, è moglie del pentito Celestino Abbruzzese: entrambi sono stati arrestati nell’operazione denominata “Job Center”, scattata a Cosenza il 22 settembre 2015. Nessuno dei due ha mai ricevuto una dote di ‘ndrangheta. Sul punto, Palmieri precisa: «Un giorno eravamo a casa di Marco Paura a Cosenza Vecchia, mio cognato Antonio è venuto e volevo battezzarci. Sapevamo che saremmo finiti in carcere, ma mio marito non volle».
Celestino Abruzzese (conosciuto come “Micetto”) era membro del gruppo dei “Banana”, di cui faceva parte insieme a Luigi Abbruzzese detto “Pikachu”; Marco Abbruzzese detto “Lo Struzzo” e Nicola Abbruzzese detto “Il Paccio”. Il sodalizio era soprattutto dedito allo spaccio di droga nel centro storico della città dei bruzi, «l’eroina la prendevamo solo dai “Banana” perché solo li potevi prenderla. Hanno conquistato il monopolio mentre la cocaina e l’erba la potevi prendere dal “Sistema”, sia dagli Italiani che dagli Zingari. I “Banana” si rifornivano di eroina dai cugini di Cassano allo Jonio».
La collaboratrice ricorda un incontro avvenuto a Rende, vicino alla zona che ospita il mercato, con Adolfo D’Ambrosio. «Mi disse che parlavano di estorsioni, mio marito aveva un giro di estorsioni a Montalto Uffugo e Bisignano ma queste non confluivano nella “bacinella“, che era gestita dal “contabile” Ettore Sottile». Secondo Palmieri, «Maurizio Rango chiese a Celestino Abbruzzese di far confluire il ricavato della tassa non dovuta nella cassa comune», ma l’ex membro dei Banana (oggi pentito) rifiutò. Come funzionava la bacinella? Chiede il pm della Dda di Catanzaro Corrado Cubellotti. E la pentita risponde: «confluivano i proventi delle estorsioni, ma anche i “recuperi” dei soldi da chi era in debito con uomini del clan».
Nel giro di estorsioni finisce anche lil progetto della metro leggera a Cosenza. «La ditta che doveva costruire la metro doveva dare 2 milioni di euro a Italiani e Zingari. A questa spartizione doveva partecipare i miei cognati, i Banana, e mio cognato Luigi decise di dare una quota anche ad Antonio Abbruzzese detto “Strusciatappine” per tenerlo calmo, altrimenti avrebbe potuto fare danni ai cantieri», dice Palmieri. Che poi confermerà i cattivi rapporti intercorsi tra la famiglia Abbruzzese di Cosenza e i cugini di Cassano allo Jonio. Un’altra quota, invece, era destinata «a Roberto Porcaro, Francesco Patitucci, Mario Piromalli e quindi agli “Italiani”».
La sostanza stupefacente, i “Banana” «la preparavano a casa di mia suocera, Luigina Bevilacqua, al secondo lotto a Via Popilia». Chi si occupava di questa attività? «Luigi, Antonio e Nicola si occupavano della preparazione, quella che si smerciava subito la tenevano a portata di mano. Ne prendevamo circa 100 grammi la settimana, la potevano nascondere sotto i palazzi, nei contatori dell’Enel». La collaboratrice aggiunge un altro particolare. «Avevano creato un bunker sotto il palazzo di casa per nascondere la droga, ma anche le armi». Quando l’eroina non era spacciata dai “Banana” «sapevamo che qualcuno stava facendo il sottobanco e mio marito si metteva con i suoi ragazzi alla ricerca di queste persone, alcuni venivano picchiati e una persona è stata anche sparata».
Il riferimento è all’agguato subito da Pierino Meduri, “colpevole” di aver accettato di spacciare polvere bianca proveniente da un altro territorio. Interrompere la catena di distribuzione della droga ingegnata dai “Banana”, dunque, può risultare piuttosto pericoloso. Come spiega, la collaboratrice di giustizia.
Anna Palmieri porta indietro la memoria e racconta di un altro agguato a colpi di pistola, «mio cognato Marco Abbruzzese sparò Vincenzo Candreva, lo colpì ad una gamba. In quel periodo avevo paura per i miei figli per possibili ritorsioni». Candreva – da quanto emerso anche dalle dichiarazioni di Celestino Abbruzzese – era creditore nei confronti di una somma di 15.000 euro, dopo aver venduto a Fioravante Bruzzese un appartamento a via Popilia, all’ultimo lotto. Il 30 gennaio 2018, viene intercettata una conversazione tra due interlocutori, una donna asserisce di aver sentito delle persone coinvolte probabilmente in una rissa e poi dei colpi di arma da fuoco. La soffiata porta immediatamente chi indaga alla famiglia “Banana”. Secondo il racconto fornito da “Micetto” ai magistrati antimafia, il movente del tentato omicidio era da ricercare in un diverbio tra la vittima ed i fratelli Nicola e Luigi Abbruzzese, scaturito da un debito insoluto da parte di Fioravante Bruzzese detto “Michele” e dalla frenetica richiesta di denaro della vittima.
La collaboratrice di giustizia narra di frequenti viaggi in Germania compiuti dai fratelli “Banana”, uno a fine ottobre 2016 con protagonista anche suo marito Celestino Abbruzzese. «Il motivo della trasferta era legato all’acquisto di auto usate ed al recupero di denaro», la collaboratrice parla di 40mila euro.
C’è un business che non sfugge al controllo dei “Banana”, oltre allo spaccio di droga alle estorsioni anche la sicurezza nei locali rappresenta una fonte di guadagno per il clan. «Prendere un locale d’estate al mare non è facile, è difficile prendere anche una discoteca o fare un concerto in piazza, loro non lo permettevano. Dove c’erano soldi, i fratelli di mio marito e Roberto Porcaro bloccavano tutto», confessa Palmieri. Che aggiunge: «Erano diventati una cosa sola».
Il pm Corrado Cubellotti chiede lumi sul business. «Una agenzia di security dei fratelli Caputo chiese l’appoggio dei “Banana” per lavorare nei locali». E una parte del guadagno dei buttafuori finiva nelle casse del clan. Dal racconto emerge come la “agenzia XXL” avesse rapporti con Luigi Abbruzzese e Roberto Porcaro, una società con «tutte le carte in regola per lavorare» e partecipare agli eventi più importanti in città, come «il concerto di Francesco Gabbani a Cosenza a Natale 2017 o la Fiera di San Giuseppe». A proposito della Fiera più importante ospitata dalla città dei bruzi, la collaboratrice aggiunge: «Sergio Del Popolo detto “il Sapunaro” raccoglieva soldi dalle bancarelle, ogni commerciante oltre che al Comune doveva dare i soldi alla bacinella, i danari venivano riscossi per conto degli “Italiani” e degli “Zingari”». Palmieri aggiunge: «Conosco De Popolo da quando sono piccola. Ricordo che Vincenzo De Rose doveva dare dei soldi a mio marito, aveva riscosso un risarcimento danni e prestò 10mila euro a Del Popolo. Non potendo rientrare di questi soldi, De Rose ci girò il debito di Del Popolo che lo stesso restituì fino all’ultimo centesimo».
Anche «i servizi di portierato erano stati gestiti dal clan Abbruzzese, ad esempio nella zona dove insiste il centro commerciale “Due Fiumi”». Soggetti legati ai “Banana” pretendevano di entrare gratis nei locali ma anche di imbucarsi nelle feste private. E’ la stessa Palmieri a citare un episodio. «Carmine Caputo lavorava ad una festa privata, alcune persone pretendevano di entrare ma lui si oppose. Il fatto arrivò ai miei cognati ed a Roberto Porcaro. Caputo è stato massacrato di botte». Il pm Corrado Cubellotti chiede alla collaboratrice se conosce Francesco De Cicco. «L’assessore – risponde la pentita – mi ha servito per un problema che avevo con la fognatura a casa» e poi «abbiamo preso appuntamento con lui per fare servizio di portierato al comune. Dovevamo registrarci con regolare documentazione e lui disse “non vi preoccupate che me la vedo io”». (f.beninicasa@corrierecal.it)
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