ROMA Gli inquirenti della Distrettuale antimafia di Roma sono convinti di aver messo le mani su un’organizzazione criminale di stampo mafioso, dedita al riciclaggio dei proventi dalle attività illecite e attiva nel territorio del sud-Pontino, con particolare riguardo alla zona di Aprilia, nella provincia di latina. Con l’ultimo blitz eseguito dai Carabinieri di Latina e l’arresto di 25 soggetti, gli inquirenti avrebbero fatto luce ancora una volta su un territorio già noto agli investigatori come «meta privilegiata di cosche mafiose di matrice soprattutto calabrese» dove, nel corso degli ultimi anni, si sono radicate, infiltrandosi nel tessuto sociale ed economico.
È uno dei passaggi chiave dell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Roma, Francesco Patrone, con particolare riferimento, in questo caso, alle ‘ndrine di Sinopoli e Cosoleto della provincia reggina e nelle quali operano le famiglie Alvaro, Palamara, Cutrì e Forgione, in rapporti con le cosche già presenti in quelle aree come i Gallace. Come ricostruito dagli inquirenti della Dda di Roma, nel territorio di Aprilia è presente una delle più famose famiglie di ‘ndrangheta, quella degli Alvaro, il cui insediamento originario risale agli inizi degli anni ’80. Già nel 2015, ad esempio, era emerso come la cosca di Sinopoli fosse attiva in un traffico internazionale di stupefacenti, con il sequestro di quattro tonnellate di cocaina.
L’inchiesta dell’Antimafia della Capitale è, dunque, un ulteriore segnale di come, nel corso degli ultimi anni, il territorio di Aprilia sia stato interessato da una forte recrudescenza dei fenomeni criminali, diretti sia nei confronti della cittadinanza comune che nei confronti di appartenenti all’amministrazione comunale. Qui la criminalità organizzata avrebbe stretto «alleanze operative con numerose cosche che detengono il controllo economico del territorio», annota il gip nell’ordinanza. Il core-business resta, però, il traffico di sostanze stupefacenti, sebbene il sodalizio – come ricostruito dagli inquirenti – fosse ben radicata in Aprilia e «in grado di condizionare il tessuto imprenditoriale e politico amministrativo».
Proprio per la natura imprenditoriale molto diversificata offerta dal territorio del sud pontino, per gli inquirenti «nel tempo sono stati acquisiti numerosi riscontri relativi all’infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico». Nell’ampio hinterland di Aprilia emerge il gruppo familiare calabrese dei Gangemi, titolari di una vera e propria “holding” attraverso la quale i capitali, accumulati illecitamente, venivano reimpiegati. E, proprio tra gli arrestati, figura Sergio Gangemi, classe 1974 originario di Reggio Calabria.
Dall’inchiesta, inoltre, sono emersi i rapporti ormai consolidati fra la famiglia Gangemi e, da un lato, le cosche reggine presenti nell’area pontina come Araniti, De Stefano e Martino e, dall’altro, con il gruppo familiare facente capo al defunto Enrico Nicoletti, più noto come il “cassiere della banda della Magliana”, la cui principale attività consisteva nella gestione dei flussi patrimoniali illeciti riguardanti le organizzazioni criminali che operavano nel territorio capitolino. Secondo la ricostruzione della Dda – e come riporta il gip nell’ordinanza – la famiglia Gangemi, attraverso società controllate e prestanome e contando sulla disponibilità di alcuni professionisti, tra cui commercialisti e notai con studi prevalentemente a Latina, avrebbe «acquistato negli ultimi anni alcuni immobili (appartamenti, magazzino, ufficio, posti auto) ad Aprilia, un complesso industriale composto da uffici, magazzini e capannoni sulla Nettunense». I Gangemi, inoltre, gestirebbe anche un locale commerciale sulla Nettunense, la cui proprietà è riconducibile ad un pregiudicato per associazione di tipo mafioso ritenuto legato alla cosca dei Gallace e coinvolto nel 2004 nell’operazione denominata “APPIA II”.
Per gli inquirenti, insomma, le numerose e complesse attività economico-finanziarie intraprese dalla famiglia Gangemi nel territorio del sud Pontino non possono ritenersi dissociate dagli interessi propri della criminalità organizzata, con la quale Gangemi ha sempre intrattenuto diretti ed illeciti rapporti, sul medesimo territorio. In tal senso, è ragionevole ipotizzare uno stretto legame della famiglia con la cosca Gallace che, in maniera trasversale e per evidenze processuali, è la più radicata in questo quadrante del territorio pontino. La floridezza economica e la operatività del gruppo Gangemi, insieme alle cointeressenze evidenziate dalla DIA e sottolineate dal pm, inducono a ritenere che il controllo del territorio e l’approvvigionamento di forti capitali «siano il frutto del traffico di stupefacenti», annota il gip, in ordine al quale un ruolo centrale sembra rivestito da Patrizio Fomiti (classe 1972) finito in carcere e considerata «persona legata ai Gangemi in ragione di rapporti di lavoro ed alla cosca calabresi dei Gallace». (g.curcio@corrierecal.it)
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