C’è un intellettuale italiano di gran valore, peraltro calabrese, si chiama Giuseppe Cricenti e di lavoro fa il magistrato. E’ una persona che si diverte a commentare gli eventi d’attualità da curioso -e talvolta scanzonato- osservatore. Poiché anche io mi diverto a seguirlo sul suo blog (lo dico perché -more solito- i miei consueti pubblici e privati detrattori mi possano imitare ed affrettarsi a copiare le mie abitudini e soprattutto le mie citazioni, quantomeno allo scopo di fingersi colti, incespicando, tuttavia, sui verbi ausiliari…), mi sono collegato, con l’aiuto di una persona che s’intende di internet, per sentire, sul tema controverso della boutade di Feltri, la sua alata parola. Ed ho scoperto -confesso che lo ignoravo- che la battuta del celebre giornalista, a dispetto degli improperi che gli sono caduti addosso da novelli difensori delle “cameriere catanzaresi”, in realtà altro non è che una sineddoche. infatti, come ha spiegato, con ironia ed acume, il magistrato calabrese, il direttore ha soltanto adoperato una figura retorica “per la quale si usa figuratamente una parola di significato più ampio o meno ampio di quella propria: per esempio, una parte per il tutto (prora per nave), il contenente per il contenuto (bere un bicchiere), la materia per l’oggetto fatto (ferro per spada)”(Dizionario Google). E senza scomodare la Crusca ho approfondito il tema per rinvenire quel simpatico richiamo, contenuto nell’ultimo articolo di Feltri, alle “casalinghe di Voghera” et similia, attraverso il quale, direi plasticamente epperò senza citare Cricenti, il giornalista, seppure con qualche ulteriore provocazione, ridimensiona correttamente la questione. Per la verità, letto l’articolo “incriminato” non mi riuscì di fare una bella risata perché il mio animo era molto triste (in quel giorno ero concentrato sulla ricorrenza della morte di un grande uomo ed intellettuale lucano che ha servito per molti decenni la nostra amara terra di Calabria). E poiché non sono di quelli che scrivono “a raffica”, passando da questo a quell’argomento con la sicumera di chi si crede onnisciente -ed invece ha soltanto il problema di dover stare permanentemente in tribuna…- mi sono riservato di riflettere più avanti. Così, dopo aver visto l’intervento di Cricenti, sono andato a rileggere tutte le reazioni, apparse sui social nell’immediatezza del fatto: fulmini e saette, querele e relativa domanda di pubbliche scuse, dissertazioni su discriminazioni “razziali”, improperi d’ogni genere; insomma ho letto di tutto e di più. E non vi nascondo che, stavolta, mi è venuto da sorridere… Devo anche dire che ho trovato invece appropriata la reazione -quantunque un po’ stizzita (per me la parte meno bella del suo articolo)- di Felice Foresta, avvocato e scrittore catanzarese, il quale ha risposto ad una sineddoche con un’altra sineddoche: le vesti della cameriera catanzarese sono diventate le mani di Petruzza, la cameriera che lo ha allevato (una specie di donna dalla forza straordinaria “na varca cu tricientu ‘minni”, di Vincenzo Padula, l’indimenticabile prete e patriota acrese dell’Ottocento). Non c’è niente da fare: soltanto i giuristi capiscono di figure retoriche e sanno scrivere in maniera appropriata! Sei un bravo Avvocato,Felice, non Ti diminuire…: e sei “nipote d’arte” di quel galantuomo e grande Avvocato che fu Francesco Carlo Parisi, che ho soprannominato “la giustizia in frac”, con i complimenti del Presidente del Rotary di Catanzaro, Carlo Maletta. In conclusione, mi sento d’insistere in un concetto di cui ho più volte trattato (e perciò mi scuso per questa noiosa tiritera). Prima di intervenire in un pubblico dibattito forse sarebbe il caso di chiedersi se si è all’altezza d’intervenire; insomma, un po’ d’umiltà non guasterebbe…. Lo consiglio non per mettermi in cattedra (io stesso disconoscevo quella figura retorica…), ma per evitare di veder sprofondare calabresi perbene in figure barbine…recte non assistite da sufficiente ponderazione. Mi ricordo di una persona, capostipite di una carrettata di continuatori, al quale, per santa carità, consigliavo riservatamente di non farsi intervistare in televisione. Con la franchezza, talora fustigante o trasmodante in sarcasmo (a qualcuno,pochi,il genere piace… ma ai più, comprensibilmente, è indigesto…) che, con rammarico, mi riconosco -e della quale, tuttavia, non posso fare a meno…- ripetevo spesso a quel signore di parlare il meno possibile “perché tutti” -gli dicevo-“ in questo modo potrebbero accorgersi di chi sei”. Ecco, quella persona non mi ha ascoltato (ed anzi mi ha anche perciò perseguitato) ed ha purtroppo combinato un guaio molto peggiore delle pene che mi ha fatto soffrire: l’imprudenza, infatti, unita ad una inimmaginabile -dai più generosi astanti- alta considerazione di sé, produce un’esplosiva confusione di stati. Qui da noi di questa confusione quel tipo lo consideravo l’alfiere: essa si è – anche grazie a lui- diffusa a macchia d’olio (la via larga pensano, ovviamente, di poterla percorrere in molti) facendo un’infinità di epigoni, sicché una carovana di gente prende oggigiorno fischi per fiaschi. Che disastro! Direbbe il prof. Sabatini.
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