Sul portale della Regione Calabria è stato da poco pubblicato un bando a sostegno degli allevatori, con una dotazione di cinque milioni di euro e procedure semplificate per il ripristino dei capi di bestiame colpiti da epizoozie e zoonosi. «Negli ultimi anni – ha detto al riguardo Gianluca Gallo, assessore regionale all’Agricoltura – la Calabria ha subito una recrudescenza delle malattie infettive soggette a profilassi obbligatorie degli animali da reddito, con conseguente ricorso agli abbattimenti obbligatori contemplati per il controllo e l’eradicazione della peste suina africana, oltre che in caso di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovi-caprina, leucosi bovina enzootica». Da qui la scelta di intervenire «con una misura – ha spiegato Gallo – che si propone di rendere possibile una completa e più celere ricostituzione del patrimonio iniziale, anche attraverso la semplificazione delle procedure burocratiche, con il ricorso alla piattaforma bandi di Fincalabra, che consentirà di snellire in maniera significativa l’istruttoria delle istanze e della concessione dei contributi».
In particolare, le domande potranno essere inserite a partire dalle ore 10 del prossimo 15 luglio prossimo e fino alle ore 16 del successivo 31 luglio.
La Regione Calabria è intervenuta su un problema datato, precisa Antonio Brambilla, commissario dell’Asp di Crotone, con cui discutiamo dell’aumento dei casi di tubercolosi bovina nella provincia crotonese e delle iniziative che la sanità pubblica ha avviato per eradicare questa malattia. Tra l’altro, da poco sono entrati in vigore i nuovi programmi nazionali obbligatori, relativi al periodo dal 2024 al 2030, per l’eradicazione di brucellosi e tubercolosi nei bovini e della brucellosi negli ovi-caprini.
«Come indica il sito del ministero della Salute, la tubercolosi bovina – premette Brambilla – è classificata come malattia della lista B dell’Office International des Epizooties e viene considerata come patologia con effetti socio-economici e di salute pubblica di notevole rilevanza e con impatto potenzialmente significativo nei confronti del commercio internazionale di animali e prodotti animali. Questo è il punto».
Commissario, partiamo dall’inizio.
«Ero stato sollecitato dalla Regione Calabria a occuparmi della tubercolosi bovina e in generale della veterinaria, con riferimento alla provincia di Crotone. Mi avevano segnalato il problema della diffusione di questa malattia, secondo i miei interlocutori non gestita, negli anni, in maniera adeguata. Perciò, dapprima ho parlato con il direttore sanitario dell’Asp di Crotone, che si è attivato per migliorare l’assetto organizzativo. Nel territorio vi è un’elevata concentrazione di capi di mucca podolica, razza protetta e alquanto pregiata. Allora ho iniziato a istituire una task force, ho incontrato i vari responsabili e ho cominciato ad analizzare ciò che era stato fatto in passato».
Il problema era stato trascurato?
«C’era stata anche una segnalazione dell’Istituto zooprofilattico: era stato rappresentato che l’aspetto organizzativo era da attenzionare».
E quindi?
«Il direttore sanitario aziendale ha individuato alcuni veterinari, che si sono messi a lavorare e hanno redatto una bozza di piano per l’eradicazione della Tbc bovina nella provincia di Crotone, che poi dovremmo far validare dal Ministero e dall’Istituto zooprofilattico. Insomma, stiamo facendo tutti i passi per avere l’avvallo delle istituzioni nazionali. Nel frattempo, ho iniziato a occuparmi direttamente della questione, anche perché la direzione generale della Salute e quella dell’Agricoltura, mi riferisco all’amministrazione regionale, mi avevano contattato con l’obiettivo di approntare un piano straordinario, sia dal punto di vista sanitario che per gli indennizzi agli allevatori, legati ai capi di bestiame da abbattere».
A quanto corrisponde l’indennizzo statale?
«Di norma, l’indennizzo statale per singolo capo, che paga l’azienda sanitaria, è di 470 euro più il valore della carcassa. Ora, una mucca podolica costa oltre 2mila euro. Tenga conto che, se le mucche infette sono tante, bisogna in pratica abbattere tutti i capi dell’allevamento. Ciò dipende dalla percentuale dei contagi e di solito l’Istituto zooprofilattico interviene, quando viene a conoscenza della positività di un consistente numero di bovini».
Allora il settore va in crisi?
«Oggi ho incontrato alcuni allevatori e ho capito che la normativa nazionale a loro sostegno è complessa e per certi versi particolare, perché sicuramente tutela i grandi proprietari di bestiame ma non tutela a sufficienza quelli piccoli. Quindi, davanti alla necessità di eradicare la tubercolosi bovina, diventa rilevante il tema della tutela dei piccoli allevatori. Affrontarlo bene ci permette di lavorare in tranquillità e anche in accordo con gli allevatori, che sono molto motivati e attaccati al loro lavoro. Peraltro, ci sono di mezzo delle mucche pregiate della razza podolica. Insomma si pone anche un ragionamento di tipo socioeconomico. Consideri che nella provincia di Crotone vengono allevati tra i 18mila e i 19mila capi. Parliamo, dunque, di una realtà produttiva importante».
Ieri ha incontrato sindaci e allevatori della zona.
«Sì, per fare il punto, anche con le direzioni generali dei dipartimenti regionali della Salute e dell’Agricoltura. Infatti, proprio di recente è stato pubblicato un bando regionale volto ad assicurare il mantenimento dei redditi alle aziende agricole e la resilienza economica delle stesse, che si pone accanto agli interventi di gestione del rischio che verranno attivati a livello nazionale. Era necessario incentivare sistemi di prevenzione attivi e di ripristino del potenziale agricolo danneggiato, anche perché, ribadisco, un conto sono i grandi allevatori, un conto sono i piccoli allevatori».
Quali sono le maggiori difficoltà dei piccoli allevatori?
«Se tu hai un allevamento di 100 capi, tra i quali alcuni positivi alla tubercolosi bovina, non puoi più fare transumanza. Se sei positivo non ti puoi muovere ma devi rimanere fermo, perché se vai in giro rischi di contagiare. Parliamo di mucche che vivono allo stato brado, quindi che si incrociano comunque con gli altri allevamenti e perciò la malattia si diffonde facilmente. Allora devi rimanere dove sei e quindi ricevere degli indennizzi, indispensabili per comprare il fieno e l’acqua. Tuttavia, gli indennizzi statali a mio avviso non sono sufficienti. In più, se in un allevamento vengono abbattuti alcuni capi per Tbc, per un po’ di tempo l’allevatore non può acquistare altre mucche, perché è considerato positivo. Invece, se l’allevatore possiede 2000 capi che stanno in stalla e leva dall’ingrasso quelli colpiti dalla malattia, non ha, come evidente, i problemi dei piccoli allevatori».
Cambiano le modalità di allevamento, insomma. In sostanza, come si è mossa la Regione?
«Sì, cambiano le modalità di allevamento. A proposito di piccoli allevatori, ce n’era uno con 80 mucche che conosceva una per una. Addirittura sapeva a memoria i numeri delle sue podoliche, a riprova della propria passione. Allora, l’idea della Regione è intelligente: con gli indennizzi di legge, arrivi a 600 o 700 euro a capo; siccome il capo costa 2mila e passa euro, l’amministrazione regionale mette la differenza».
Un intervento necessario?
«Senza dubbio. Anche perché, per comprare nuovi capi di bestiame, tu devi essere dichiarato indenne, nel senso che non devi avere più casi positivi nel tuo allevamento. Perché ciò accada, ci vogliono mesi, in quanto devi aspettare i controlli. E ancora: se tu hai un allevamento vicino, attaccato, confinante con un altro, siccome queste mucche vivono allo stato brado, si pone una correlazione epidemiologica. Quindi, i capi correlati epidemiologicamente sono considerati a rischio».
Una situazione complessa?
«Certo, veramente molto complessa e, secondo me, da affrontare con grande perizia, intelligenza e attenzione. Comunque, la disponibilità dell’amministrazione regionale, per quello che ho visto io, è massima. La mia opinione è che negli anni precedenti, in alcuni ambiti, ci sia stata una gestione un po’ superficiale, senza chiarezza nei provvedimenti».
Quanto è diffusa la Tbc bovina, nella provincia di Crotone?
«Nel 2023, avevamo circa 17 allevamenti positivi, considerati focolai, con 96 casi e 96 capi macellati. Quindi, in questi 17 allevamenti, a occhio vi era una positività del 15 per cento delle mucche. Tenga conto che però parliamo di un totale di 753 capi presenti nei riferiti allevamenti, a fronte dei 18mila capi dell’intera provincia. Nel 2024, invece, 27 allevamenti sono risultati positivi alla Tbc bovina, con un significativo aumento rispetto all’anno precedente e con 286 capi macellati. In sei mesi, è stata registrata una triplicazione dei casi».
Il dato è riconducibile all’intensificazione dei controlli?
«Sì. Aggiungo che la tubercolosi è una malattia a lentissima evoluzione. Ciò vuol dire che i predetti 286 capi erano già malati l’anno scorso. Ora bisognerà vedere come andrà nei prossimi mesi. Per carità, non voglio fare allarmismi, anche perché i capi presenti in questi 27 allevamenti sono 1.500 circa, a fronte dei 18mila di cui dicevamo. Ma in sei mesi sono già triplicati i casi e tenga conto degli allevamenti epidemiologicamente correlati».
E ora?
«Con le azioni messe in campo, per noi sarà molto più facile lavorare presso gli allevamenti: i veterinari andranno e faranno i loro controlli tranquillamente. Ho dovuto costituire una sorta di squadra, perché l’ambiente calabrese è stato per anni molto inquinato e in modo stupido, nel senso che non sono stati tutelati gli interessi degli allevatori. Il punto è che se tu sanifichi gli allevamenti, riesci a risolvere il problema. Se indennizzi gli allevatori in modo giusto, loro hanno tutto da guadagnare e, aspetto non secondario, possono garantire una produzione eccellente. Il problema è in parte la mentalità locale, spesso avvezza ad accordi all’ombra, magari per aggirare i test».
C’è un’inversione di rotta, rispetto al passato?
«Con la soluzione che ha individuato la Regione, tra quello che mette in proprio e la parte corrisposta dall’azienda sanitaria, il prezzo del capo è pienamente ripagato all’allevatore. Questo è anche incentivante rispetto alla sanificazione, perché spinge all’adozione di politiche aziendali, diciamola così, in linea con l’obiettivo pubblico di evitare il contagio tra le mucche. Evitare il contatto e quindi il contagio è proprio l’aspetto principale della prevenzione».
C’è un punto, però. Lei prima parlava della transumanza. In genere gli allevatori della provincia di Crotone vanno in Sila, nella provincia di Cosenza, nei mesi più caldi. Che genere di relazione c’è, poi, tra le due diverse aziende sanitarie?
«Ha fatto una domanda giusta. Secondo me, bisogna individuare un commissario regionale per l’eradicazione della tubercolosi bovina. È un compito che non possiamo svolgere da soli. È necessario un commissario che venga da fuori e che coordini le attività di ogni azienda».
Altrimenti diventa ingestibile il fenomeno?
«Certo, diventa ingestibile e poi non lo risolvi. Quindi bisogna che le aziende del Servizio sanitario regionale si mettano insieme e facciano tutte gli stessi test. Ora noi stiamo facendo sia la tubercolina che l’interferone gamma, come peraltro indicato da una circolare regionale (e dai nuovi programmi nazionali di prevenzione, nda). Mi dicono, ma non so se sia vero, che in altre aziende e in altre province usano solo il test della tubercolina. L’interferone è un test particolare ed efficace, che ti permette di condurre molto bene i controlli. Insomma, c’è anche un aspetto che dovrebbe essere normato, nel senso che tutte le aziende sanitarie dovrebbero agire nello stesso modo e qualcuno dovrebbe avere la responsabilità dei controlli. Ecco che ha senso un commissario».
È fiducioso?
«Il tema è ripetere i controlli con rigore e metodo. Se tu fai periodicamente i controlli, se tu macelli gli animali, ti comporti bene, rispetti le norme e non vai in transumanza, alla fine il problema si risolve».
Quanto, per l’uomo, è pericolosa la Tbc bovina?
«È meno pericolosa di quella umana, ma guai a sottovalutarla. Le riporto una curiosità. Nel 1921, a Parigi, un ceppo attenuato di tubercolosi bovina servì a sviluppare il vaccino contro la tubercolosi. I microbiologi Albert Calmette e Camille Guérin avevano infatti notato che il germe della tubercolosi bovina era più lieve ma conferiva immunità».
Allora bisogna restituire il favore ai bovini?
«Direi proprio di sì».
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AVVISO
La rubrica “La lente di Emiliano” si fermerà per l’estate. A partire dal prossimo venerdì 11 luglio, sarà sostituita da un’altra rubrica, sperimentale, intitolata “Gaia, fatti e sguardi senza filtri”, sempre a cura di Emiliano Morrone, che in brevi podcast racconterà storie e problemi rimasti nell’ombra: tramite la voce, talvolta con interviste, come se fosse un giornale radio. La prima puntata, “Il Sud sarà deserto?”, sarà sull’autonomia differenziata: con dati, dettagli e aspetti ancora ignoti.
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