COSENZA Sarebbe dovuto partire lunedì 8 luglio il rush finale del processo Bergamini sulla morte dell’ex calciatore del Cosenza calcio avvenuta il 18 novembre del 1989 a Roseto Capo Spulico che vede come unica imputata per omicidio volontario in concorso con ignoti, Isabella Internò, ex fidanzata della vittima. Dopo oltre due anni e mezzo, la sentenza del dibattimento in corso a Cosenza in Corte d’Assise, era stata programmata alla fine di questo mese, ma l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria dei penalisti, a livello nazionale, per i giorni 10, 11 e 12 luglio, ha portato la presidente della Corte Paola Lucente a rinviare il tutto a settembre. Dunque, secondo il nuovo programma, la requisitoria del pm Luca Primicerio si terrà nei giorni 19 e 20 settembre, mentre il 23 e 24 settembre verrà dato spazio alle discussioni degli avvocati della famiglia Bergamini Fabio Anselmo, Silvia Galeone e Alessandra Pisa. Le arringhe degli avvocati della difesa Angelo Pugliese, Rossana Cribari e Pasquale Marzocchi si terranno invece nei giorni 26 e 30 settembre. Per il primo ottobre prevista la camera di consiglio dei giudici con successiva sentenza di primo grado. Tre anni dopo, o poco meno, rispetto alla prima udienza datata 25 ottobre 2021.
Nell’attesa che arrivi settembre, da oggi ripercorreremo i momenti salienti delle 60 udienze di uno dei processi più seguiti e sentiti nella città di Cosenza e non solo. Sessanta udienze e soprattutto 35 anni di attesa per la famiglia Bergamini che non ha mai creduto alla tesi del suicidio.
Nella prima udienza, datata 25 ottobre 2021, in cui è presente l’imputata, arrivano già le prime schermaglie tra le parti con Fabio Anselmo che parla di «un procedimento dove si processa un altro processo» con riferimento al caso Cucchi che, secondo il legale della famiglia Bergamini, presenta analogie con il caso legato alla morte del calciatore. Un riferimento che scatena la reazione della difesa. Nella lista presentata dagli avvocati Pisa e Anselmo, compaiono ex compagni di squadra, agenti di polizia giudiziaria impegnati nelle indagini e anche quattro collaboratori di giustizia: Franco Pino, Franco Garofalo, Giuseppe Vitelli e Nicola Belmonte. Il pubblico ministero Luca Primicerio (che ha sostituito Eugenio Facciolla) chiede l’escussione dei suoi consulenti e dei medici legali che si sono succeduti nell’esame della vicenda nel corso degli anni. «Avevano già evidenziato una serie di dati trascurati, come ad esempio l’assenza di lesioni di trascinamento e che Bergamini fosse stato soffocato. Tutte certezze avute nel corso dell’incidente probatorio», sostiene il pm.
Nel corso della seconda udienza (25 novembre 2021) viene fatta ascoltare l’intervista rilasciata al giornalista Roberto Barbarossa dal calciatore prima della morte. «Sogno la serie A, mi piace vivere», dice Bergamini in quella circostanza.
Secondo Ornella Quintieri, ispettore capo di polizia giudiziaria (ascoltata insieme al collega Pasquale Pugliese) a cui nel 2017 l’ex procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla aveva chiesto di produrre un report sulle tappe processuali e sulla storia di Bergamini, Internò era mossa da una «gelosia ossessiva» riscontrata dagli inquirenti tramite le confessioni delle donne sentite e grazie alle intercettazioni. «Annusava i vestiti di Denis per sentire la presenza di profumo di altre donne, guardava in macchina per rinvenire eventuali capelli, si nascondeva dietro le macchine attendendo l’arrivo a casa di Denis».
Nella terza udienza (30 ottobre 2021) la Corte ammette le dichiarazioni rese da Isabella Internò nell’immediatezza dei fatti all’ufficiale di Pg Barbuscio. «Denis e Isabella – in macchina – parlano della decisione del calciatore di lasciare l’Italia, imbarcarsi da Taranto e raggiungere l’estero. La fidanzata chiede una spiegazione e il giocatore esprime una generica stanchezza del calcio». Questa è la confessione che Internò farà a Luigi Simoni, all’epoca allenatore del Cosenza Calcio e al direttore sportivo Roberto Ranzani. Subito dopo Internò renderà la stessa dichiarazione anche ai familiari e conoscenti. «Bergamini – secondo la versione fornita dalla giovane – al termine della discussione si sarebbe buttato sotto un camion in transito sulla statale 106, con uno scatto repentino, compiendo un tuffo simile a quello effettuato in una piscina». Secondo la ricostruzione successiva alla morte di Bergamini, alle 19.30 del 18 novembre 1989 alla stazione dei Carabinieri di Roseto Capo Spulico arriva la notizia di un incidente con un morto presente sul manto stradale, sul posto arriva Barbuscio e avvia i rilievi fotografici. Il carabiniere rileva una traccia sull’asfalto legata al trascinamento, di 59 metri, del corpo di Denis seguito all’investimento del camion. Sul posto interviene la guardia medica che redige il certificato di morte dopo un’analisi visiva ravvisando «lo sfondamento toracico e schiacciamento dell’addome». L’esame autoptico sarà effettuato, alle 11.40 del 19 novembre 1989, dal dottore Remondi alla presenza del Pm di turno, coadiuvati dal comandante dei carabinieri di Trebisacce: come causa della morte sarà certificata la presenza di «politraumatismo multiplo, rigidità cadaverica agli arti inferiori e la sussistenza di ipostasi unite allo schiacciamento dell’addome». Dopo la relazione, il pm disporrà la restituzione della salma alla famiglia. I vestiti di Bergamini non saranno sequestrati ma andranno distrutti, «la famiglia non entrò mai in possesso dell’abbigliamento e gli fu riferito che erano stati bruciati in un inceneritore di Cosenza dell’Asl numero 9», le scarpe saranno gli unici oggetti recuperati e fatti pervenire alla famiglia del calciatore da un tifoso del Cosenza. «In realtà – ha spiegato ancora Quintieri – le scarpe furono prese dall’obitorio da un altro tifoso del club silano che tramite il vice allenatore le fece avere ai familiari della vittima». I due tifosi perderanno la vita pochi mesi dopo in un incidente stradale «a causa di un colpo di sonno, l’auto con a bordo i tifosi prima impattò contro un autocarro e poi invasa la corsia opposta venne travolta da un mezzo».
Poi i risultati del Ris di Messina in cui emerge «che gli effetti personali di Bergamini di presentavano in buono stato di conservazione, i graffi presenti erano legati al normale utilizzo e senza nessun segno di trascinamento». Per i Ris è «impossibile che l’impatto tra camion e corpo sia avvenuto nei pressi della piazzola di sosta». Secondo il successivo esame autoptico effettuato dal dottore Avato, il decesso sarebbe sopraggiunto «in poche decine di secondi, in caso di schiacciamento del camion si sarebbe verificato in tempi superiori». L’ispettore Quintieri riferisce dei risultati relativi alle altre perizie effettuate sul cadavere di Bergamini da parte dei dottori Bolino e Testi: «il corpo – come emerso al termine degli esami – si trovava disteso sul suolo in condizioni di ridotta vitalità, con un’unica ferita all’altezza dell’addome, in posizione supina, e aveva subito lo schiacciamento della ruota destra del camion con sormontamento parziale». I medici rileveranno «la presenza di sofferenza polmonare e assenza di lesioni in altri distretti corporei, senza segni di trascinamento come invece indicato dai testi». Sollecitati dalle domande del pm, gli agenti di Pg continuano a fornire dettagli sulle indagini svolte. Con riferimento ai momenti immediatamente successivi alla morte di Bergamini, l’ispettore di polizia Ornella Quintieri colloca sul luogo dell’investimento, «un altro camionista che seguiva il mezzo condotto da Pisano», tale Forte. Anch’egli si ferma e «dopo esser sceso dal mezzo raggiunge Pisano ma inciampa tra le gambe di Bergamini». A quel punto – continua la Quintieri – «Pisano dice di non aver visto il giovane che si trovava già per terra, ma Forte non crede alla sua versione e controlla il camion che non presenta segni di urto. Quando gira accanto al mezzo coinvolto nell’incidente nota «una macchina nera parcheggiata con due uomini fuori e una ragazza in lacrime e in preda alla disperazione». Forte si rivolge ai tre e chiede «se l’uomo morto fosse loro parente», la risposta sarà negativa e la Mercedes nera partirà subito dopo in direzione Cosenza. Il camionista turbato da quanto visto e preoccupato dell’arrivo delle forze dell’ordine, torna sul suo camion e riparte. L’episodio – come dichiara l’ispettore di Polizia Quintieri – viene raccontato proprio da Forte a Donata Bergamini, sorella di Denis, in una telefonata registrata. Alla partenza di Forte, seguirà l’arrivo sul luogo della morte di Bergamini, di un altro automobilista, tale Panunzio. «Viene fermato dalla Internò che chiede un passaggio per poter telefonare perché il fidanzato si era suicidato». Panunzio deciso ad aiutare la giovane, lascerà la propria auto con moglie e figli a bordo e accompagnerà, con la Maserati di Bergamini, Isabella Internò «in un bar-ristorante poco distante. La giovane chiamerà Luigi Simoni, all’epoca dei fatti allenatore del Cosenza, per comunicargli la notizia della morte di Bergamini. Poi effettuerà altre due telefonate: un’altra chiamata a Luigi Simoni e poi a Ciccio Marino, compagno di squadra di Denis. La versione fornita ai due è la medesima sempre raccontata dalla giovane: «Denis voleva smettere con il calcio e andare all’estero e poi ad un tratto si è buttato sotto il camion». «Mi disse ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo», questa la frase che la Internò confesserà all’allora direttore sportivo del Cosenza, Ranzani.
La quarta udienza (ultima del 2021) è datata 16 dicembre. L’ispettore Quintieri ribadisce la presenza di alcuni testimoni giunti sul luogo della morte del giocatore del Cosenza calcio, a Roseto Capo Spulico, subito dopo l’investimento del corpo di Denis da parte di un camion guidato da Raffaele Pisano. Il caso Bergamini ha spinto negli anni gli investigatori ad indagare sulle possibili cause della morte del calciatore. Sul tavolo, diversi ipotesi: l’ombra del calcio scommesse e della criminalità organizzata cosentina, l’acquisto della Maserati con il coinvolgimento del boss Antonio Paese e poi la relazione sentimentale con Isabella Internò. (Continua – 2)
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