VIBO VALENTIA Era convinto che i suoi “soci” criminali lo stessero tradendo, tanto da giurare che una volta fuori avrebbe «distrutto tutto» e «raso al suolo» il paese di Dasà. Appaiono plateali le minacce, riportate nelle carte dalla Dda, di Francesco Capomolla, presunto boss del locale di Ariola, coinvolto nell’inchiesta Habanero che ha colpito i clan Maiolo e Loielo. Capomolla, di cui i collaboratori di giustizia parlano come uno che «conta al 101%», sarebbe affiliato, secondo gli inquirenti, al clan dei suoi cugini Angelo e Francesco Maiolo, di cui sarebbe il «braccio armato». Secondo il collaboratore Enzo Taverniti, sarebbero loro i responsabili della tragica strage di Ariola, in cui vennero assassinate tre persone nell’ambito della faida contro i Loielo. Ma anche tra gli alleati ci sarebbe stato un periodo di tensioni con tanto di minacce e avvertimenti a distanza tra Capomolla e i Maiolo.
Condannato a 17 anni nell’inchiesta Luce nei boschi, Capomolla insoddisfatto della sua detenzione avrebbe alimentato un astio nei confronti delle persone all’esterno. I colloqui con i parenti, caaptati dagli investigatori, mostrano tutta la frustrazione del presunto boss “sfogata” sia contro le forze dell’ordine sia contro i suoi stessi alleati. Nei colloqui, scrive la Dda, «emerge il disprezzo, l’ostilità e l’avversione del detenuto nei confronti delle Forze di Polizia e di altre Istituzioni dello Stato». Proprio dialogando con la figlia Capomolla avrebbe affermato «di non avere nessuna forma di rispetto nei confronti delle forza di Polizia, poiché sono tutti dei bastardi». Una sorta di paradosso se si considera la frase successiva in cui lo stesso avrebbe manifestato l’intenzione di «fare una denuncia nei confronti del Prefetto, del Questore, del Pubblico Ministero e delle Forze di Polizia». In colloqui successivi, sarebbe arrivato anche a dire che «la Polizia Penitenziaria lavora direttamente con la Dda e hanno il doppio stipendio».
Ma l’apice della foga di Capomolla sarebbe arrivato poco tempo dopo, quando ad essere presi di mira sono proprio i fratelli Maiolo e altri soggetti di Dasà. Nei loro confronti il detenuto, secondo la ricostruzione della Dda, avrebbe iniziato a manifestare astio «sentendosi abbandonato alla propria condizione detentiva». Approfittando dei colloqui con la famiglia, Capomolla «esterna la propria intenzione di attuare, una volta uscito dal carcere, dei veri e propri propositi “bellici”». Angelo e Francesco Maiolo, secondo il detenuto, sarebbero il motivo del suo stato detentivo, avendo «ordito un complotto ai suoi danni». «Li hanno fatto diventare due Pulcinella» afferma ai parenti, «sono due confidenti che se la cantano con la Polizia, con i Carabinieri, con la Finanza, con la polizia penitenziaria e con gli avvocati». L’obiettivo di questo progetto oscuro lo esplicita subito dopo: «Fanno solo per tenermi dentro, questo stanno facendo».
Parole che scatenano subito una reazione “difensiva” da parte dei parenti, che avrebbero cercato di calmare Capomolla dicendogli di «tenersi dentro» queste considerazioni e parlarne una volta uscito. Ma lo stesso avrebbe ribadito che «qualcuno che sta “armando” le tragedie» e che «si inventano falsità». Vani i tentativi da parte della famiglia di calmarlo. «Non metto guerra, li distruggo proprio quando esco!». E ancora: «Quando esco a Dasà lo rado al suolo». Le minacce contro il paese delle Preserre sarebbero state ripetute più volte: «A Dasà quando esco lo distruggo, dalla prima all’ultima casa». Avvertimenti presto arrivati anche ai fratelli Maiolo, con Angelo che, preoccupato che gli inquirenti potessero prendere «la palla al balzo», avrebbe risposto, secondo la ricostruzione della Dda, con una lettera al detenuto, scrivendogli «di farsi la galera come i “Cristiani” e di chiudere “questa fogna di m**** di bocca”». (Ma.Ru.)
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