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Estorsioni, minacce politiche e ricerca di voti: il pentito Iervasi racconta la ‘ndrangheta di Cerva

Coinvolto nell’operazione Karpanthos, il collaboratore rivela i retroscena delle elezioni per le amministrative del comune ora sciolto

Pubblicato il: 09/07/2024 – 20:16
Estorsioni, minacce politiche e ricerca di voti: il pentito Iervasi racconta la ‘ndrangheta di Cerva

CATANZARO Dalle estorsioni ai legami con le imprese e con il mondo della politica. Vincenzo Antonio Iervasi e Mario Gigliotti, i due boss collaboratori di giustizia, ricostruiscono di fronte ai pm le dinamiche criminali della Pre Sila catanzarese. Entrambi coinvolti nell’inchiesta Karpanthos dello scorso settembre, che ha portato all’emissione di 52 ordinanze cautelari (38 in carcere) contro la ‘ndrangheta radicata nei comuni di Cerva e Petronà, hanno deciso da tempo di collaborare con la giustizia, rendendo dichiarazioni sulla loro ascesa criminale e sul consolidamento del potere tramite violenza, estorsioni e anche accordi con alcuni politici locali. Dall’inchiesta è partita anche la procedura di scioglimento per il comune di Cerva, conclusasi con il decreto del Consiglio dei Ministri arrivato lo scorso maggio. Lo stesso Iervasi ha raccontato di esserne «il capo insieme a Giovanni Sacco (indagato,ndr)» su nomina di Mario Gigliotti.

Elezioni politiche “movimentate”

In particolare, Iervasi racconta di come a Cerva si vivessero le elezioni politiche in modo “movimentato” tra intimidazioni e una ricerca anche “illecita” di voti per favorire determinati candidati. «Io gli ho portato 40-45 voti, che sono miei. Giovanni Sacco gli ha portato 100 voti, qualcuno è stato pagato» afferma il collaboratore, che aggiunge: «Poi hanno spostato un po’ di residenze da Petronà a Cerva apposta per le votazioni». Ma legato alle elezioni politiche sarebbe anche l’incendio di un’auto del titolare di un’attività. «Non è stata un’intimidazione» specifica Iervasi, ma l’incarico sarebbe stato assegnato al collaboratore perché la figlia «stava andando casa casa a cercare i voti». Anche nel 2017, sarebbero riconducibili, secondo il pentito, «a questioni politiche» le minacce rivolte ad un altro soggetto, reo di aver appoggiato il candidato non scelto dalla cosca, a cui «hanno lasciato delle cartucce o hanno sparato alla porta».

I segni sulla scheda elettorale e le estorsioni

Un procacciamento di voti fino a dentro la cabina elettorale, dove gli elettori dovevano anche rendere facilmente riconoscibile la scheda anonima affinché tornasse la conta dei voti. «Per controllare che mi dessero i voti promessi c’erano dei segni identificativi, nel senso che io chiedevo che sulla scheda il nome del candidato venisse scritto in un certo modo in modo che io potessi controllare» racconta Iervasi. Sulle estorsioni, sentito dalla pm Veronica Calcagno, risponde che a Cerva «non ne ha mai fatte» ma che «prendeva i soldi delle estorsioni che raccoglieva Gigliotti». «A Pasqua, ferragosto, Natale io mi prendevo i soldi sulle estorsioni che Mario Donato Ferrazzo (indagato, ndr) distribuiva» afferma il collaboratore. (Ma.Ru.)

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