Ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre persone – una delle quali già condannata in via definitiva per la sua appartenenza alla Stidda – accusate di estorsione aggravata dal metodo mafioso. I provvedimenti della Dda di Palermo sono stati eseguiti dalla polizia di Stato. Le indagini condotte dalla Squadra mobile di Agrigento e dal commissariato di Canicattì sono iniziate ad aprile 2023 a seguito del danneggiamento e incendio della saracinesca di un magazzino a Canicattì e si sono avvalse della denuncia della vittima dell’estorsione, una donna, e dei suoi familiari. Gli arrestati, secondo quanto accertato, al fine di ‘tutelare’ gli interessi economici e imprenditoriali del titolare di un’autofficina, anch’egli arrestato, avrebbero costretto la vittima a non concedere in affitto un magazzino di sua proprietà a una persona che, adibendolo a officina meccanica, avrebbe potuto rappresentare una concorrenza al commerciante in zona.
I tre si sarebbero recati presso l’abitazione della vittima, mentre il condannato per la sua appartenenza alla Stidda avrebbe pronunciato frasi intimidatorie, rimarcando la sua appartenenza all’associazione mafiosa, peraltro nota alla malcapitata, ricordandole che «in quella zona comandava lui». Uno dei due complici si sarebbe rivolto alla donna minacciandola che le avrebbe fatto “la faccia tanta” se mai si fosse permessa di cedere il magazzino. Lo ‘stiddaro’ è stato coinvolto in passato elle dinamiche dell’organizzazione mafiosa, impegnata tra la fine degli anni 80 ed i primi anni 90, nella guerra a Cosa nostra: diversi collaboratori di giustizia lo hanno indicato come inserito nel gruppo stiddaro di Canicattì e, pertanto, era finito nel mirino della cosca di Cosa nostra che intendeva ucciderlo. Una sorte toccata al figlio, ucciso dal clan rivale nel corso della guerra di mafia. Le indagini, sottolineando gli inquirenti, «si sono avvalse anche del contributo fornito dalla vittima e dai suoi familiari che hanno raccontato la spedizione messa in atto dai tre arrestati poche settimane prima del danneggiamento, opponendosi così al sistema di controllo esercitato dalla compagine mafiosa».
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