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l’intervista del Corriere della calabria

Le piste interrotte sulla Strage di Duisburg. «Scaricare le colpe su San Luca assolve chi è colpevole»

Nel suo libro Ersilio Mattioni ripercorre la mattanza di Ferragosto. «Rapporti sulla ‘ndrangheta 13 anni prima della strage»

Pubblicato il: 09/07/2024 – 7:00
di Fabio Benincasa
Le piste interrotte sulla Strage di Duisburg. «Scaricare le colpe su San Luca assolve chi è colpevole»

COSENZA «Kaufen Kaufen Kaufen» si traduce «comprare, comprare, comprare».  I primi anni Novanta, successivi alla caduta del Muro di Berlino, furono un territorio florido per gli investimenti della ‘ndrangheta in Germania come ha avuto modo di raccontare Bernd Finger, per più di trent’anni a capo della sezione dedicata al contrasto della criminalità organizzata della polizia tedesca. Oggi la criminalità organizzata calabrese riesce a clonare in diversi Länder le strutture operative delle cosche in Calabria, dalle quali dipendono. Lo sottolinea la Direzione investigativa antimafia. Che indica come episodio “spartiacque” la strage di Duisburg. Sulla mattanza consumata a ferragosto del 2007, Ersilio Mattioni ha dedicato un libro della collana “Mafie. Storia della criminalità organizzata” (Rcs). Il giornalista parte dalla lunghissima e sanguinosa faida, che comincia a San Luca nel 1991 e finisce nel 2007 proprio a Duisburg, in Germania: con una strage davanti a un ristorante italiano. «La ‘ndrangheta è stata sottovalutata – racconta Ersilio Mattioni in una intervista al Corriere della Calabria – nei mesi immediatamente successivi a Duisburg c’è stata una grande indignazione, ma soprattutto c’è stato uno stupore assolutamente ingiustificato perché le autorità tedesche ricevevano da quelle italiani e in particolare dalla magistratura calabrese rapporti sull’attività della ‘ndrangheta in Germania, da almeno 12-13 anni.
Cosa contenevano le relazioni? «Ci sono una cinquantina di rapporti in cui vengono segnalati investimenti di soggetti calabresi sospettati di appartenenza alla ‘ndrangheta, si parla di bar, ristoranti, interi complessi immobiliari: le autorità tedesche lo sapevano perfettamente. Dire perché sia stato ignorato il fenomeno è difficile, forse un po’ di sottovalutazione o forse facevano anche comodo quegli investimenti, a volte è più conveniente chiudere gli occhi e far finta di non capire», dice Mattioni. Che aggiunge: «Esistevano rapporti delle autorità tedesche che segnalavano anche centinaia di persone definendole “soggetti mafiosi” o “boss della mafia”. In Germania, le forze dell’ordine non hanno dormito, ha dormito sicuramente la politica».
E’ anche una questione di leggi? «La Germania non disponeva e in parte non dispone di leggi efficaci per combattere la mafia». Mattioni cita un episodio con protagonista l’ex procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri, impegnato nelle indagini sulla strage. «Quando andò a Duisburg si meravigliò perché gli vietarono di mettere le microspie nei locali, nelle pizzerie, nei bar gestiti da italiani sospettati di avere rapporti con la ‘ndrangheta o vicini a clan, gli dissero che in Germania questa cosa non si poteva fare e non si poteva fare per nessuno, neanche in casi eccezionali, neanche per combattere un’emergenza, non si può fare, punto e basta. Hanno un livello di protezione della privacy dei cittadini molto alto».

A sx Ersilio Mattioni, a dx la copertina del libro “La strage di Duisburg”

C’è di più. Gratteri ebbe modo di giudicare, con una battuta, il livello di conoscenza delle autorità tedesche del fenomeno mafioso calabrese. «Dieci anni prima della strage di Duisburg, in Germania pensavano che i “locali” fossero dei magazzini. Il “locale” è l’organizzazione base della ‘ndrangheta e gli ho detto chiaramente: “Voi tra 10 anni avrete lo stesso problema che abbiamo noi in Italia”». Ipse dixit.

La cupola della ‘ndrangheta e i confini tedeschi

Nell’immaginario collettivo (la Germania non fa differenza) la percezione della ‘ndrangheta come organizzazione criminale lascia e lasciava spazio alla distorta concezione della mala come di un gruppo di pastori arrabbiati e particolarmente violenti. «Devo dire che nell’Italia del nord, in Lombardia, si comincia adesso a capire che la ‘ndrangheta è cambiata. L’evoluzione è consistita in una vera e propria organizzazione, una struttura nuova che gioca partite a livelli molto alti e in questa struttura nuova i capi della ‘ndrangheta siedono e discutono alla pari e a volte persino in posizione dominante con pezzi dello Stato, con pezzi dei servizi segreti, segmenti importanti della società, dell’imprenditoria, ma anche della Chiesa. In questa struttura segreta, massonica, c’è dentro veramente un po’ di tutto. Fino in fondo non abbiamo ancora capito cos’è, però fa veramente paura: sembra uno Stato nello Stato».

Il destino di Giovanni Strangio

Figura chiave nel racconto di Ersilio Mattioni è Giovanni Strangio. «Assume un’importanza superiore agli altri perché era uno di quelli che l’ha commessa la strage. Le figure legate alla strage di Duisburg potevano e forse dovevano essere controllate e monitorate meglio. Strangio era una di queste». Quando si arriva a comprendere realmente cosa è accaduto a Duisburg? «Nell’ultimo agguato di Ciccio Pelle detto “Pakistan” muore Maria Strangio, moglie di un boss importante, e rischia di morire anche un bambino di 5 anni: ecco in quel momento comincia a essere concepita la strage di Duisburg», sottolinea Mattioni. «E’ ovvio che ci sarà una vendetta ed è ovvio che per lavare col sangue la morte di Maria Strangio serviva un parente stretto. Quindi Strangio era il sospettato numero uno». Una storia incredibile la sua. «Si, viene arrestato dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri e poi si ritrova incredibilmente libero, non viene sorvegliato, parte per la Germania dove ha una base d’appoggio a Kaarst e poi farà la strage». E Mattioni pone una serie di interrogativi. «Come è stato possibile che potesse partire? Non era controllato, non era monitorato? A queste domande non sono riuscito a dare risposta neanche nel libro».

Quante cose legate alla strage restano sconosciute?

«In termini tecnici non sappiamo ancora quanti erano presenti sul luogo della strage, sappiamo che hanno sparato in due, che con ogni probabilità erano almeno in tre e che forse erano anche in cinque o sei perché c’era qualcuno a garantire la sicurezza di questa operazione. Però quanti fossero e chi fossero non lo sappiamo e non sappiamo fino in fondo chi sono i veri mandanti, non conosciamo il percorso e il tracciato delle armi, si è detto di tutto e di più, si è persino ipotizzato che ci fosse un deposito in Valle d’Aosta della ‘ndrangheta dove furono custodite prima di essere utilizzate a Duisburg, ma sono tutte piste che si sono interrotte».

Duisburg

E’ ipotizzabile una “nuova” Duisburg?

«In termini razionali direi di no, però la storia della ‘ndrangheta ci insegna che a volte tutto quello che è razionale scompare. Se uno avesse ragionato razionalmente sull’evoluzione della faida di San Luca o se qualcuno mi avesse fatto la stessa domanda ai tempi avrei risposto no. Tuttavia, la faida di San Luca è un esempio di quanto la razionalità sia andata in cantina».

Non è colpa di San Luca

La chiosa, Ersilio Mattioni, la dedica a San Luca. «Ho studiato molto e cercato di capire meglio la storia di questo comune. Che si porta dietro questa pesantissima nomea, quella di essere il cuore del potere criminale italiano e a volte sembra quasi nato per essere questo. Nel libro non sono riuscito ad inserire (per rispettare il numero di battute della collana, ndr), l’idea che mi sono fatto di San Luca, è una cosa a cui tengo molto», dice il giornalista. Che conclude: «Mi sono reso conto che studiandone la storia e la sua evoluzione, è fin troppo comodo – per tutti – dare sempre la colpa a San Luca e ai suoi abitanti. E’ un paese che aveva una solarità, una ricchezza, un’economia che funzionava, un certo benessere. Ed allora, scaricare sempre la colpa sui sanluchesi vuol dire anche assolvere tutti gli altri che invece sono enormemente colpevoli.
(f.benincasa@corrierecal.it)


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