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mafia & capitali

I soldi della ‘ndrangheta a Roma: gli investimenti nel settore petrolifero dei Mancuso e dei Mazzaferro

Nell’inchiesta della Dda della Capitale, il coinvolgimento delle ‘ndrine calabresi negli affari degli idrocarburi e il sostegno delle «famiglie locali egemoni sul territorio»

Pubblicato il: 09/07/2024 – 12:01
di Giorgio Curcio
I soldi della ‘ndrangheta a Roma: gli investimenti nel settore petrolifero dei Mancuso e dei Mazzaferro

LAMEZIA TERME Un imponente quantità di materiale investigativo, raccolto dalla Distrettuale antimafia di Roma che ha consentito al gip Emanuela Attura di delineare l’esistenza sul territorio romano di una organizzazione criminale promossa e organizzata da Antonio Nicoletti, figlio di Enrico (noto “cassiere” appartenente alla banda della Magliana) e da Pasquale Lombardi, quest’ultimo che esercita la sua influenza criminale prevalentemente nel territorio del comune di Pomezia.

Il blitz

Sono 18 le misure cautelari emesse questa mattina oltre al sequestro di beni per oltre 131 milioni di euro e 57 indagati ed eseguite dalla Direzione Investigativa Antimafia su tutto il territorio nazionale su disposizione della Dda di Roma. Le 18 persone destinatarie dei provvedimenti disposti con un’ordinanza dal gip di Roma sono ritenute gravemente indiziate di far parte di due associazioni, con l’aggravante mafiosa, radicate in Roma e finalizzate alla consumazione di estorsioni, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti.

Riciclaggio e autoriciclaggio

L’inchiesta avrebbe acceso i riflettori sul territorio romano con particolare riferimento al riciclaggio, al reimpiego e l’autoriciclaggio di grandi quantitativi di denaro, «provenienti da membri dell’associazione di stampo camorristico dei D’Amico-Mazzarella» scrive il gip «clan radicato a Roma soprattutto tramite Daniele Muscariello ed i fratelli Pezzella che ne curano gli interessi e guidano le operazioni». Ma, come riporta il gip nell’ordinanza, l’associazione si sarebbe occupata di «gestire anche il denaro proveniente da altre organizzazioni criminali e tra queste i clan calabresi dei Mancuso, dei Mazzaferro-Morabito, nonché il clan Senese operativo nella Capitale». Si tratterebbe, in questo caso, di una seconda associazione, collegata alla prima, e per lo più dedita al riciclaggio di denaro attraverso società operative nel settore degli idrocarburi.

Il sostegno alle famiglie mafiose

Una ricostruzione, quella degli inquirenti romani, che avrebbe trovato ampio riscontro anche nelle dichiarazioni rese da due componenti del clan D’Amico-Mazzarella, che hanno iniziato una collaborazione con le Autorità. Nel corso delle indagini è emerso, infatti, come il mercato del commercio dei carburanti costituisca allo stato attuale «un settore economico appetibile per la criminalità organizzata, che lo ha utilizzato nelle attività di riciclaggio e reimpiego. Come riporta il gip nell’ordinanza, la pg ha individuato «in Alberto Coppola e Piero Monti i principali organizzatori delle operazioni, portate a termine insieme ai fratelli Pezzella e con la costante intermediazione di Roberto Macori». Come riportato nell’ordinanza, infatti, «gli indagati avrebbero impiegato numerose società cartiere ed acquisito depositi funzionali alla realizzazione delle attività illecite».

I Mancuso e i Mazzaferro

Figura centrale, in questo scenario, Macori, soggetto indicato come «espressione della famiglia Senese e che svolge una funzione di intermediazione tra i vari clan mafiosi interessati ad investimenti soprattutto nel settore degli idrocarburi». Secondo quanto ricostruito, quindi, la “forza” di Macori emergerebbe «dai suoi stretti legami con numerose ed importanti organizzazioni di stampo mafioso». Avrebbe curato, in particolare, per conto delle famiglie calabresi dei Mancuso rappresentati a Roma, secondo gli inquirenti, da Antonio Cristofer Brigandì, vibonese classe ’93, e dei Mazzaferro, rappresentata da Nicolò Sfara, classe ’94 di Locri «gli investimenti di ‘ndrangheta, nel settore dei petroli per il tramite dell’imprenditore Piero Monti (tutti e tre indagati) e attraverso l’acquisizione di importanti depositi di carburanti (la fratelli Vianello s.r.l.) e la fondazione del gruppo “Mediolanum Holding Spa”, progetti nei quali i clan calabresi hanno direttamente investito», annota il gip nell’ordinanza. (g.curcio@corrierecal.it)

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