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Inchiesta habanero

‘Ndrangheta, la violenta rissa a Pizzo e il “caso diplomatico” tra i Pardea e i Maiolo

La «spedizione punitiva» contro i rampolli di Salvatore Morelli, la pace «sugellata con lo champagne» e l’intervento dei Pelle e dei Bonavota

Pubblicato il: 11/07/2024 – 6:59
‘Ndrangheta, la violenta rissa a Pizzo e il “caso diplomatico” tra i Pardea e i Maiolo

VIBO VALENTIA Una «spedizione punitiva», lo scontro tra due ‘ndrine e una “guerra” di ‘ndrangheta evitata per la “diplomazia” di quattro cosche. Con tanto di pace sugellata da champagne e una pena sospensiva per il responsabile. È l’estrema sintesi di un episodio emblematico della violenza caotica e pericolosa della ‘ndrangheta, originata dalla volontà di ostentare il potere criminale e la forza intimidatrice da parte dei “rampolli” della criminalità organizzata. Tutto inizia con una delle tipiche risse “da bar” tra le giovani leve della criminalità organizzata vibonese e il cugino di Angelo Maiolo, il presunto boss delle Preserre arrestato nell’operazione Habanero dello scorso 21 giugno. Prima la rissa a Pizzo partita da uno “sputo”, poi la «spedizione punitiva» guidata da Maiolo in persona, che si sarebbe fermata soltanto una volta sentito il nome di Salvatore Morelli, altro presunto boss della ‘ndrina Pardea-Ranisi condannato nel primo grado di Rinascita a 28 anni di carcere. Sarà il suo nome dare il via a un valzer di incontri tra ‘ndrine per riappacificare i rapporti tra i due clan, fino a comminare una “pena” sospensiva di sei mesi dalla ‘ndrangheta a uno degli aggressori.


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L’indole «spregiudicata e violenta» di Angelo Maiolo

Ad essere coinvolti sono proprio i più giovani del gruppo di Turi l’Americanu: Domenico Camillò (cl.94) e Luigi Federici condannati in Rinascita rispettivamente a 26 e 25 anni, «protagonisti indiscussi – scrive il collegio giudicante – di una delle stagioni più violente ed efferate dalla stagione criminale della città di Vibo Valentia». Tuttavia, per la rissa in questione, presente nei loro confronti tra i capi d’accusa in Rinascita, il collegio ha disposto il non doversi procedere verso gli imputati «per difetto di querela». L’episodio viene ripreso dalla Dda nell’inchiesta Habanero contro la ‘ndrangheta delle Preserre, concentrandosi sulla reazione furiosa di Angelo Maiolo all’aggressione subita dal cugino. Secondo gli inquirenti si può riscontrare qui la sua «indole spregiudicata e violenta», oltre alle sue azioni mirate a «consolidare il proprio ruolo di capo carismatico» e di «affermare la propria fama criminale nei confronti di soggetti fino a quel momento a lui sconosciuti».

La vicenda: prima l’aggressione, poi la spedizione punitiva

È la notte tra l’8 e il 9 settembre 2018, quando Maiolo viene avvisato del ricovero del cugino dopo che «senza motivo» era stato «massacrato di botte». Una volta recatosi nell’ospedale e appresa la dinamica, Maiolo avrebbe deciso di ricorrere alla «giustizia sommaria», dal momento che, rilevano gli inquirenti, «nulla risulta in merito ad eventuali denunce» da parte del cugino o del titolare dell’attività. Giunto al locale, avrebbe «visto le riprese (delle telecamere, ndr)» e, riconosciuto uno dei ragazzi, sarebbe intervenuto «aggredendolo violentemente». La vicenda viene ricostruita dal collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena: il presunto boss delle Preserre, dopo aver «ordinato ai suoi sodali di caricare il giovane in auto per portarlo via» si sarebbe fermato soltanto una volta sentito dallo stesso che «era soggetto vicino a Salvatore Morelli». «Così ha detto – riferisce Arena – io sono un uomo di Salvatore Morelli o sono di Salvatore Morelli, ora non ricordo proprio la parola precisa, però ha palesato la sua vicinanza a Salvatore Morelli, quindi lo lasciarono stare, quella sera stessa, e poi l’indomani sono iniziate diverse imbasciate».

Il caso “diplomatico” che coinvolge quattro cosche

È in quell’istante che la questione passa dall’essere una violenta rissa a un “caso diplomatico” da dirimere tra la cosca dei Maiolo e dei Pardea-Ranisi, questione che ha richiesto l’intervento di clan “potenti”. Un primo incontro tra la ‘ndrina di Acquaro e quella di Vibo, alla presenza dei Pelle “Gambazza” di San Luca, sarebbe terminato in modo pacifico con tanto di scuse e «una pace sugellata da un brindisi a base di champagne». Tuttavia, nei giorni successivi, i parenti di Domenico Camillò, «colui che – secondo la ricostruzione – aveva innescato l’aggressione», preoccupati per possibili ripercussioni, avrebbero chiesto ai Bonavota di intercedere «per tentare di riappacificare i rapporti». Una mossa poco gradita dagli stessi Pardea, come ammette Arena, infastiditi dall’essere stati “scavalcati”, ma che si sarebbe rivelata risolutoria. I Maiolo, ancora furiosi per le condizioni in cui versava il cugino, avrebbero avuto intenzione «di andare contro Camillò», rischiando così di dare il via a una sanguinosa faida. Solo dopo l’intervento dei Bonavota avrebbero deciso di desistere, accontentandosi di una punizione sospensiva di sei mesi dalla ‘ndrangheta per Domenico Camillo a causa della sua «cattiva azione». (Ma.Ru.)

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