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‘Ndrangheta, la “strategia pacifista” di Luigi Mancuso. Il pentito: «Tutti mangiavano dallo stesso piatto»

In aula il racconto dell’ex rampollo della potente cosca di Limbadi. «Diego Mancuso è entrato nella massoneria dalla porta principale»

Pubblicato il: 13/07/2024 – 15:53
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, la “strategia pacifista” di Luigi Mancuso. Il pentito: «Tutti mangiavano dallo stesso piatto»

VIBO VALENTIA La svolta dopo la scarcerazione. Da quel momento gli equilibri, in un modo o nell’altro, sarebbero cambiati definitivamente. Così avrebbe voluto il “capo”, il leader carismatico apprezzato e rispettato da tutti (o quasi), in una geografia di famiglie criminali contorta, ma con lo sguardo sempre indirizzato all’obiettivo comune. È il 2012 e il “Supremo” Luigi Mancuso torna in libertà. Sarà sua premura attuare una strategia pensata – forse – per molto tempo e per rimettere un po’ di ordine, prima dentro alla propria famiglia, puoi fuori. Basta spari, basta omicidi, basta tensioni per la spartizione dei territori e dei profitti.

La testimonianza di Emanuele Mancuso

A rispolverare i dettagli della “strategia pacifista” di Luigi Mancuso è stato il nipote collaboratore di giustizia, Emanuele Mancuso, sentito in aula bunker davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia nel corso dell’udienza del processo “Maestrale-Carthago”. «Lo zio Luigi Mancuso voleva unificare tutto, voleva la pace, non amava amante della violenza», spiega l’ex rampollo della potente cosca di Limbadi. «Era una persona carismatica, con una parola ti portava ovunque. Ricordo che la mia famiglia andava a mangiare sempre da Silvana Mancuso, Luigi Mancuso era riuscito a riappacificare tutto e con tutti». Perché, ha osservato ancora il pentito, «se ci inviti ad un matrimonio e ti siedi al tavolo vicino a delle persone che hai odiato per 7 anni, allora vuol dire che la riappacificazione era avvenuta davvero». «Si erano formati due gruppi che Luigi Mancuso aveva riunito dopo la sua scarcerazione nel 2012» ha spiegato ancora il collaboratore di giustizia «a Tropea c’erano i La Rosa, i Piscopisani a Piscopio, gli Anello a Filadelfia ma lui era in buoni rapporti con tutti e a tutti mandava un emissario», spiega ancora il pentito.  

Anello e Bonavota

Ognuno, insomma, avrebbe dovuto avere la propria zona, il dialogo avrebbe dovuto prevalere su tutto. «C’erano prima delle divergenze tra gli Anello e “Scarpuni”, così come con i Bonavota. Quando Luigi Mancuso è uscito, Giuseppe Rizzo alias “Speedy pizza”, aveva mediato. Si accompagnava con un Monteleone, li vedevo spesso a Capistrano, lui era nella fazione di Rocco Anello», ha spiegato ancora Emanuele Mancuso. «La cosca Anello si allineò con la nuova rotta del “Supremo”, in linea generale, nonostante qualche divergenza con “Scarpuni” per il controllo del territorio, lui aveva dei modi che portavano scontri con gli altri, molto diversi rispetto a quelli di Luigi Mancuso». Era un modo di operare di due capi diversi, questa la “visione” del collaboratore. A proposito dei Bonavota, attivi nel territorio di Sant’Onofrio e “vincitori” nella faida con i Cracolici. «Luigi Mancuso aveva armonizzato anche con loro, così come era avvenuto con gli Anello. Tutti mangiavamo nello stesso piatto». «Dei Bonavota so che i capi erano Domenico e Pasquale, anche se personalmente conoscevo Nicola, quello che aveva il bar», ha spiegato Emanuele Mancuso.

Diego Mancuso e la massoneria

Nel suo racconto fornito al pm Antonio De Bernardo, Emanuele Mancuso illustra la “gerarchia” della sua famiglia: «Diego Mancuso è fratello di mio padre, il capo dopo Peppe “’Mbrogghia”. A livello generale, invece, veniva dopo di Luigi Mancuso e Peppe “’Mbrogghia”. I 7 si distinguevano per essere più un’ala militare mentre gli 11 erano istituzionalizzati, imprenditoriali e massonici ma, negli anni, anche i 7 avevano capito che, se non fossero entrati in massoneria, non avrebbero fatto nulla tant’è che mio zio Diego Mancuso si era portato a casa Angelo Boccardelli che aveva conosciuto durante un periodo di detenzione a Viterbo». Diego Mancuso «aveva allestito proprio un’abitazione per lui, nei pressi di Limbadi, poi gli aveva regalato un alloggio nel villaggio dove stava lo stesso Diego Mancuso a Santa Maria di Ricadi. Poi si è laureato studiando arte, era molto istruito e voleva entrare nella loggia massonica e c’è entrato dalla porta principale». (g.curcio@corrierecal.it)

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