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Carcere confermato per il macellaio reggino accusato di omicidio

Le motivazioni del Riesame sul 48enne reggino Francesco Putortì. Per il giudice «potrebbe vendicarsi»

Pubblicato il: 17/07/2024 – 11:58
di Mariateresa Ripolo
Carcere confermato per il macellaio reggino accusato di omicidio

REGGIO CALABRIA «Se posto agli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, il prevenuto, atteso lo spiccato attivismo mostrato nella vicenda, potrebbe adoperarsi per individuare il presunto basista, ovvero assumere iniziative vendicative nei confronti di colui che ritenesse di individuare in tale ruolo». Con queste motivazioni i giudici del Riesame di Reggio Calabria hanno confermato la misura cautelare in carcere per Francesco Putortì, il 48enne di Reggio Calabria accusato di omicidio e tentato omicidio. L’uomo, che di mestiere fa il macellaio, ha colpito con un coltello due ladri sorpresi all’interno della sua abitazione, in contrada Oliveto di Rosario Valanidi, nella periferia sud di Reggio Calabria.

Il tentato furto e la colluttazione

Le indagini della squadra mobile e dei carabinieri hanno consentito al procuratore Giovanni Bombardieri e al sostituto Nunzio De Salvo di delineare il contesto in cui sono maturati l’omicidio e il tentato omicidio. Secondo le ricostruzioni degli investigatori, i due ladri avrebbero tentato un furto nell’abitazione di Putortì il quale, rientrando a casa, li ha sorpresi al piano superiore dello stabile. A quel punto, il macellaio, secondo il suo racconto, ha preso un coltello e durante una colluttazione ha colpito i due ladri che poi sono fuggiti facendo cadere le pistole che avevano appena rubato e che erano legalmente detenute da Putortì, difeso dagli avvocati Giulia Dieni e Natale Polimeni.
C’è stata, quindi, una colluttazione con Putortì che ha colpito i due ladri prima che questi riuscissero a scappare e a correre, ripresi dalle telecamere in strada, per oltre 800 metri.  A seguito della colluttazione Alfio Stancampiano, 30enne catanese, è morto dopo essere stato portato dai complici all’ospedale Morelli di Reggio Calabria e abbandonato all’ingresso. Il ferito, Giovanni Bruno, di 46 anni, anche lui catanese, è stato poi ricoverato all’ospedale di Messina.

L’inquinamento delle prove

Per i giudici del Riesame «Putortì ha assunto comportamenti rivolti ad inquinare il materiale probatorio. Ha inizialmente negato l’accoltellamento, limitandosi a prospettare di aver inferto un pugno a uno dei ladri scoperti nella stanza del figlio. Si è prodigato, immediatamente dopo il primo accesso dei Carabinieri, a lavare e disinfettare l’intero set di coltelli da cucina, da cui aveva tratto quello utilizzato per attingere i due catanesi. La versione dei fatti offerta presenta tuttora profili inconciliabili con gli esiti degli accertamenti medico-legali e con le indagini svolte dai RIS, primo fra tutti quello afferente alla colluttazione ripetutamente prospettata negli interrogatori innanzi al pm e al gip». Secondo i giudici inoltre «necessita approfondimento anche la questione concernente il rinvenimento delle due pistole con caricatori lungo le scale dell’abitazione, a dire del Putortì cadute ai due ladri nella concitazione della fuga: Bruno ha negato di aver prelevato le armi, mentre lo stesso Putortì nella telefonata al 112 aveva segnalato la presenza di un’unica pistola “a terra” («ho soltanto visto che c’era una pistola a terra che non so se sia mia o sia caduta a loro, perché gli è caduto pure un cappello»)».

La decisione dei giudici

Per i giudici se «rimesso in libertà o collocato agli arresti domiciliari, l’indagato potrebbe porre in essere, eventualmente con l’ausilio di terzi, contegni d’impatto sul piano probatorio in una delicata fase investigativa, in cui sono intense le attività rivolte alla ricostruzione dell’accaduto. Sul versante della cautela sociale, l’instante, come si desume dalla violenza agita, dalla freddezza nella vicenda, dall’assenza di controspinte e remore agli impulsi offensivi, ha manifestato una spiccata propensione alla violenza alla persona e all’uso delle armi (è soggetto appassionato di armi, già legittimo detentore di pistole e fucili), che potrebbe scatenarsi nuovamente in presenza di dissidi, di una minaccia reale o meramente percepita. Le dinamiche della condotta tradiscono indifferenza alle regole del consesso civile, che avrebbero consigliato la devoluzione alo Stato di qualunque iniziativa a tutela della proprietà privata violata: il che osta alla formulazione di una prognosi positiva circa la spontanea adesione alle prescrizioni accedenti a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere. Non si trascuri che l’indagato ha manifestato il fermo convincimento che i ladri catanesi abbiano agito sulla scorta delle indicazioni di un basista, che il aveva informati sulle abitudini degli occupanti della casa e sui vani ni cui erano custoditi armi e valori: Secondo me non è una cosa casuale ma mirata, – ha dichiarato Putortì – poiché sono andati a colpo sicuro a ricercare le armi; sono andati nella cassettina ove erano riposte le chiavi della cassaforte, senza rovistare nulla”. Se posto agli arresti domiciliari, – scrivono i giudici – anche con braccialetto elettronico, il prevenuto, atteso lo spiccato attivismo mostrato nella vicenda, potrebbe adoperarsi per individuare il presunto basista, ovvero assumere iniziative vendicative nei confronti di colui che ritenesse di individuare in tale ruolo».

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