LAMEZIA TERME Un controesame dai toni alti, spesso fuori dalle righe, quello andato in scena questa mattina in aula bunker a Lamezia Terme dove è in corso il processo “Maestrale-Carthago” davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. Protagonisti il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, e l’avvocato Salvatore Staiano, difensore dell’imputato Salvatore Ascone.
Uno scambio che si può racchiudere già nella parte finale, con l’augurio di “buona estate e buona guarigione”, più volte espresso da Mantella e rivolto proprio al difensore che, intendendola come una velata minaccia in stile ‘ndranghetistico, ha chiesto che finisse agli atti con la successiva istanza avanzata.
Il controesame del pentito è iniziato, invece, con l’avvocato Staiano che ha cercato di capire le ragioni del pentimento di Mantella, definendola una «virata legittima» ma chiedendo se ci fossero stati altri motivi. «No – ha risposto Mantella – non ci sono state altre ragioni. È avvenuto ad aprile 2016 e già a maggio sono stato sentito». «Ma il suo pentimento era legato solo a livello personale o perché temeva un ergastolo?» gli chiede Staiano. «No, avevo solo intenzione di cambiare vita e ho deciso così». Poi ha chiesto ancora l’avvocato se tra i motivi del pentimento non ci fosse la preoccupazione delle dichiarazioni di un suo congiunto lametino. «Assolutamente no, in quel periodo storico non ero a conoscenza di queste dichiarazioni anche perché già nel 2012 Peppe Giampà aveva reso dichiarazioni. Se fossi stato una persona piena di sterco non avrei fatto questo passo e cambiato vita quattro anni dopo». E non «ha manifestato preoccupazione per la scarcerazione di Mancuso?» chiede ancora Staiano. «No, non ci pensavo neanche alle dinamiche della famiglia Mancuso». Staiano fa poi riferimento ad un colloquio in carcere, nel 2012, quando proprio Mantella avrebbe manifestato una certa “curiosità” per la scarcerazione di Luigi Mancuso, chiedendo ai familiari in visita, se si trattasse proprio di lui, lo “Zio Luigi”. «Onestamente non ho contezza di questo episodio – ha spiegato Mantella – se era un colloquio familiare è probabile ma se avessi avuto paura di Luigi Mancuso avrei fatto questo passo nel 2012».
Le domande dell’avvocato difensore di Ascone si concentrano poi sulle condizioni economiche di Mantella. «Entro in carcere e me la cavavo bene» spiega Mantella. Ma, contesta Staiano «lei dice che se la passava bene, che c’era gente che le pagava gli avvocati, ma ci sono delle conversazioni con i suoi congiunti dove lei lamenta della mancanza dei soldi, a chi venivano dati i suoi soldi? A chi venivano trasmessi i suoi ordini?». «Lì si parlava di una cifra di 35mila euro – ricorda Mantella – ma come ha detto lei, non sono sciocco, durante i colloqui mi spacciavo come povero. Ora sono povero, mi aiuta la comunità di Sant’Egidio, non ho una lira, sono rovinato, sono a lamiera usando un’espressione calabrese. All’epoca usavo un linguaggio criptico, dicevo di essere povero perché sapevo che probabilmente mi stavano registrando». «Per le persone che mi hanno aiutato, io lo sapevo tramite mio zio Armando che mi rassicurava sul fatto che la famiglia si stava occupando di tutto». «Salvatore Mantella mi aggiornava su tutto, sapeva le dinamiche ‘ndranghetistiche del territorio e anche sulla scarcerazione di Luigi Mancuso. Al pm Falvo avevo anche riferito che con ogni probabilità avrebbe risolto prima le controversie interne, le cose di casa sua, poi quelle esterne. Essendo ai tempi un mafioso sapevo tutto, ma poi qualche profano saccente ha detto qualcosa di diverso da me».
Le domande di Staiano si soffermano, poi, sulla figura di Diego Mancuso. «Io le posso dire – ha spiegato il pentito – che Diego, nel carcere di Viterbo, parlava malissimo di Luigi, e io onestamente Luigi l’ho sempre visto diverso rispetto al resto della famiglia, erano tutti una massa di mandriani e bovari, lui era superiore». «Luigi Mancuso, una volta dicevo che era un onore, ora invece mi disonoro di averlo conosciuto così come sicuramente penserà lui, me lo ricordo al chiosco dei formaggi di Carmelo Lo Bianco, poi l’ho incontrato nel carcere di Siano, a Catanzaro». «Io sono stato sempre o in carcere o agli arresti domiciliari, a Siano forse era la metà degli anni ’90 quando Luigi mi chiese di conferire la dote della “Camorra” nei confronti del nipote Luigi Rizzo. Di fronte a lui ero un moscerino, si era rivolto a me perché ero uno scagnozzo».
Il controesame dell’avvocato Staiano si focalizza poi sulla figura del suo assistito, Salvatore Ascone, ripercorrendo la vicenda dei terreni e la scomparsa di Maria Chindamo. E, anche in questo frangente, gli scambi verbali si fanno vivaci con continui battibecchi e l’intervento del presidente Conti. «Lei ha parlato di un interessamento dei Mancuso per le vicende dei terreni – chiede Staiano a Mantella – ma la vicenda Chindamo è di poco conto o importante?». Domanda che Mantella non riesce a comprendere, spiegando poi che le sue dichiarazioni «non sono valutazioni, io racconto quello che so e che è accaduto». «E da chi l’ha saputo?» insiste ancora Staiano. «Da Diego Mancuso nel carcere di Viterbo». E poi Mantella ha spiegato: «Io inizialmente pensavo ad un altro Chindamo. Quando Diego Mancuso, dopo una telefonata non autorizzata, io facevo da guardiano mentre lui era in conversazione, era arrabbiatissimo con lo “Zio Luigi” perché era convinto che gli stavano fregando i terreni». A proposito di Maria Chindamo Mantella ha spiegato: «Siccome apostrofava con parole irripetibili e indicibili per rispetto della corte e delle donne in generale la Chindamo, ho capito che si riferiva ad una donna». «Nel momento in cui ho scoperto questa vicenda, mi è venuto il magone, ho detto “se la sono mangiata” e in base alla mia esperienza, e in base a quello che mi aveva detto Diego Mancuso, le sue frasi terribili, ho capito che l’avevano ammazzata loro».
Una circostanza particolarmente contestata dall’avvocato Staiano, che si focalizza in particolare sulle tempistiche delle dichiarazioni rese da Mantella. «Lei, avendo avuto notizia della scomparsa della Chindamo, dice “s’a consumaru”. Una vicenda di tanta importanza, che si collega ad un controllo degli imprenditori sul territorio, come mai allora in questi anni parla di Ascone solo nel 2020? Per quattro anni perché non ha detto nulla?», scatenando la reazione di Mantella. «Non è così. Quando ho appreso la notizia, io allora ero allocato in una caserma dei reparti speciali, ho parlato con il colonnello e poi con la Procura». «Io ho parlato di Ascone 30 secondi dopo aver appreso la notizia e mi hanno subito messo in contatto con la Dda». Staiano, però, insiste chiedendo a Mantella come mai non abbia mai citato Ascone prima del 2020. «Della Chindamo ho parlato nel 2016, quando l’ufficio di Procura ha voluto approfondire, io ho menzionato Ascone» ha spiegato Mantella. «Io ho spiegato di non sapere le modalità dell’esecuzione, ma il principio è sempre lo stesso: quando l’ufficio di Procura vuole approfondire, io parlo e spiego quello che so». «Mi prendo le mie responsabilità e l’importante era liberarmi del mio fardello anche se non interessava me personalmente, ma quell’omicidio è tipico dei Mancuso, è nel loro stile».
Lei sa Ascone dove aveva l’azienda? «Diego Mancuso mi ha detto che era di fronte o vicino alla Chindamo» «stavano organizzando uno sgambetto alla fazione di Luigi Mancuso». Altra affermazione contestata dal difensore di Ascone. «Lei però nel 2020 al Falvo aveva detto di non sapere “sinceramente” dove si trovasse, come mai? Lo ha appreso dai giornali, dalla tv? «Evidentemente all’epoca non lo ricordavo» ha spiegato Mantella «in quel momento non ricordavo dove fosse, ma comunque ho sempre dichiarato che nei pressi o nelle vicinanze davano in custodia i terreni a Salvatore Ascone dove poteva far pascolare il gregge». (g.curcio@corrierecal.it)
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