ROMA «Dobbiamo distruggere o dobbiamo creare? Qua siamo in una Capitale, qua girano politici, vescovi, questo, quello e quell’altro ancora… noi dobbiamo stare calmi lo sai perché? Perché qua ci alzano da terra, in un quarto d’ora». Basterebbe questa frase a descrivere in modo semplice quello che è il complesso mondo della criminalità organizzata a Roma. Qui, dove forme e rappresentazioni della criminalità organizzata hanno saputo creare, e soprattutto adattare, un nuovo metodo di aggressione e saturazione del territorio, dando vita quello che gli inquirenti definiscono un “laboratorio” delle mafie tradizionali in grado di «sintetizzare» il proprio potenziale criminale coinvolgendo ed integrando l’ampio bacino della “malavita romana”, composto anche da killer professionisti, pusher, rapinatori e gruppi criminali stranieri, con le reti di corruzione che attraversano obliquamente diversi segmenti del tessuto socio economico romano». Perché Roma rappresenta «il centro nevralgico intorno al quale gravitano interessi, decisioni e forme autoctone di coordinamento tra i flussi multipli di criminalità organizzata».
In questo scenario si sono concentrate le indagini della Dia a partire dal marzo del 2018 e poi insieme al Reparto Territoriale dei Carabinieri di Aprilia, ricostruendo uno scenario criminale inquietante che ha permeato parte della Capitale, l’area pontina e la provincia di Latina con particolare interesse nella città di Aprilia. Gli inquirenti hanno messo in luce una vera e propria consorteria mafiosa che, in maniera assolutamente «eclettica ed aggressiva», rappresenta la «la perfetta sintesi tra le organizzazioni autoctone e gli interessi dei principali gruppi criminali: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra», attraverso un doppio binario: da una parte mettendo in pratica le tipiche attività di controllo del territorio, anche con estrema aggressività, dall’altra utilizzando «sofisticate e complesse manovre economico finanziarie illecite» supportate e favorite anche grazie «all’asservimento delle amministrazioni comunali alle volontà delle cosche».
Risultati investigativi, quelli portati a termine in questo luglio rovente, sintesi di quanto avvenuto in questa parte di territorio laziale negli ultimi decenni (almeno tre) e confluito nell’operazione “Assedio” che ha portato all’arresto di 18 persone su ordine del gip del Tribunale di Roma, con al centro proprio un “sistema mafioso” che attraverso una strategia di sommersione ha progressivamente infiltrato attività imprenditoriali – apparentemente legali – operanti in molteplici campi come sanità, edilizia, cinematografia, servizi, petrolio, logistica e automotive, coltivando aderenze nelle istituzioni e penetrando la Pubblica Amministrazione, condizionandone le scelte ed influendo attivamente sulla gestione degli appalti pubblici. Per gli inquirenti, dunque, questo “network mafioso” avrebbe sistematicamente posto sotto assedio (appunto) le dinamiche finanziarie ed economiche, con inevitabili effetti negativi sull’economia reale e sulla galassia dei servizi pubblici.
Un sistema mafioso che negli anni ha affinato le tecniche di riciclaggio con numerose società “filtro”. Parliamo di scatole vuote attraverso le quali vengono emesse fatturazioni per operazioni inesistenti. Uno scenario emerso grazie all’attività investigativa che si è concentrata da subito sui Gangemi, storica famiglia di origine calabrese considerata «espressione imprenditoriale della cosca De Stefano, stanziata sin dagli anni ‘80 inizialmente nel territorio di Aprilia e successivamente nella Capitale», annota la Dia. È stata proprio la figura di Sergio Gangemi, finito in carcere nell’ultimo blitz eseguito proprio ad Aprilia, che ha consentito alla Polizia Giudiziaria di «comprendere le dinamiche relazionali che sottendono tutte le consorterie operanti nel Lazio ed in particolare nell’area metropolitana». Secondo le indagini, infatti, Sergio Gangemi «rappresenterebbe il punto di congiunzione tra Roma e il territorio Apriliano». Sul suo profilo, si è espresso anche il collaboratore di giustizia Riccardo D’Agostino. È stato lui a collocare Sergio Gangemi «al vertice della colonna apriliana al fianco del boss Patrizio Forniti (anche lui arrestato ndr) definito “il capo dei capi”». Le attività di indagine della PG, oltre a confermarne per Gangemi il riconoscimento di tale ruolo, «lo individuano anche come elemento di spicco della consorteria romana al fianco di Antonio Nicoletti (cl. ’63), figlio di Enrico della “Banda della Magliana” e Pasquale Lombardi (cl. ’56) – entrambi arrestati – ma anche vicino a soggetti intranei alla potentissima famiglia Senese.
E, mentre nel territorio della Capitale il sodalizio mafioso ha scelto una strategia di “sommersione”, nell’area di Aprilia, «appaiano perfettamente replicate quelle condotte ortodosse che caratterizzano le consorterie di stampo mafioso, incluso il controllo geografico del territorio» annota ancora la Dia. Gli inquirenti, dunque, sono convinti di aver ricostruito i legami e le matrici criminali, in tempi investigativi brevissimi, delineando «lo scenario attuale della criminalità organizzata “padrona” dell’area metropolitana romana quale metamorfosi della costante ricerca di equilibrio delle mafie ortodosse». Ma – specifica la Dia – la storia giudiziaria ha ampiamente dimostrato come Roma abbia da sempre rappresentato un “unicum criminale” «con il superamento di logiche di ortodossia associativa».
Come insegna la storia criminale di Roma, la presenza di “capi” riconosciuti e non di seconde linee «rappresenta un ulteriore e straordinario riscontro rispetto alla qualificazione dell’associazione individuata». La complessità delle indagini, annota la Dia, legata soprattutto alle molteplici ed articolate direttrici operative del Sistema, ha fatto emergere la convergenze anche di altre strutture mafiose esterne al sodalizio romano, come il clan dei casalesi, il clan campano dei Mallardo ma soprattutto le cosche della ‘ndrangheta calabrese dei Morabito e dei Mancuso. La “Mafia di Roma” è la sintesi, amalgamatasi nel tempo, di questi interessi mafiosi che da oltre trent’anni «si muovono con virulenza ed opacità sull’area metropolitana capitolina quale centro gravitazionale» annota ancora la Dia. La Capitale è il punto di contatto tra imprenditoria, politica e le mafie, così come sinteticamente illustrato proprio da Salvatore Pezzella, uno dei capi di questo consesso criminale. (g.curcio@corrierecal.it)
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