LAMEZIA TERME È iniziata dal controesame del collaboratore di giustizia Andrea Mantella l’ultima udienza del processo “Maestrale”, di scena all’aula bunker di Lamezia Terme, davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. Con l’operazione “Maestrale-Carthago”, la Distrettuale antimafia di Catanzaro aveva ricostruito le aree geografiche di interesse delle ‘ndrine sul territorio vibonese, e in particolare nei Comuni di Mileto, Filandari, Zungri, Briatico e Cessaniti.
Ad interrogare il pentito – collegato dal sito riservato – è stato l’avvocato Tommaso Zavaglia, partendo da un tema generale ovvero la vicenda relativa a suo cugino Gangitano, picciotto delle cosche dei Lo Bianco-Barba ucciso nel 2002, il cui corpo non è mai stato ritrovato. Un tema trattato in tante altre udienze, come ad esempio in “Rinascita-Scott” e rispolverato anche in Maestrale. L’avvocato Zavaglia, in particolare, ha chiesto al pentito se si sia trattato di «una uccisione determinata da “motivi etici” e da un “codice interno” alla ‘ndrangheta». «Stando alle logiche della ‘ndrangheta – ha spiegato Mantella – all’interno di un locale non ci possono stare omossessuali o persone con “macchie d’onore”». «A fare ulteriori esclusioni, finché hai la dote della “camorra” si può fare, Gangitano ho provato a “purificarlo” con dei riti che onestamente sono imbarazzanti». «Non possono essere affiliati persone responsabili di uno stupro nei confronti di una donna, non puoi far parte della ‘ndrangheta e in caso o paghi pegno con la morte o degradato» ha poi spiegato il pentito, con l’avvocato Zavaglia che ha puntualizzato: «Questo vale anche con l’uccisione di una donna?». «Bisogna vedere i motivi», spiega Mantella «se è per motivi di onore uccidere la donna è un fatto inevitabile, anzi è un vanto». «Ma – ha spiegato Mantella – non c’è alcun motivo per uccidere un bambino. Stando alle mie conoscenze, chi lo fa non può far parte della ‘ndrangheta».
Nel corso del controesame, l’avvocato Zavaglia ha chiesto al pentito se avesse mai conosciuto Benito Tavella, classe ’88, nell’elenco degli imputati. «No, non mi ricordo, non ho mai avuto relazioni con lui, lo conoscevo solo per nome». «All’interno della criminalità organizzata» ha spiegato ancora Mantella «apprendo dei Tavella solo perché facevano parte dell’ambiente». E Zavaglia cita un verbale di Mantella, contestando alcune dichiarazioni legate all’attività di spaccio di Benito Tavella. «Le domande le approfondisco sulle richieste del pm e del giudice e a quel punto uno si sforza di ricordare ma se nessuno mi fa una domanda precisa non vado a ruota libera», si giustifica il pentito. «Non ho mai concorso in qualche reato con Benito Tavella, non lo conosco personalmente» ha ribadito all’avvocato Zavaglia che chiede: «Che abbia fatto questi reati, chi gliel’ha detto? «A me l’ha detto Pasquale Pititto che li definiva quattro ladri di mucche, criminali di “serie b” forse anche meno. Poi penso di averne parlato con Fabio Galati». Lei – chiede ancora Zavaglia – ha riferito che dietro all’omicidio di Michele Tavella ci fosse Pasquale Pititto. «Assolutamente no, non confermo. A me non risulta che la storia sia inedita, risulta che l’astio tra Pititto e la famiglia Tavella c’è sempre stato, magari è riportato in qualche verbale omissato ma io ho già riferito di questo».
«Posso confermare che volevano uccidere Michele Tavella, il padre e l’altro fratello Benito, ho memoria di un agguato». Si tratta di un inedito, contesta l’avvocato Zavaglia, e richiama le dichiarazioni di Mantella secondo cui “Tavella dovesse essere ucciso” e non “i Tavella” (in senso generale ndr). «È stato Scrugli a dire di voler uccidere Michele Tavella mentre Pititto voleva sterminare tutta la famiglia perché voleva vendicarsi per un parente». «Scrugli voleva uccidere solo Michele, Pititto tutta la famiglia». «Anche Fortunato Tavella lo conosco solo per nome, per traffico di droga e abigeato. E anche in questo caso le fonti sono identiche» ha poi concluso Mantella rispondendo all’avvocato Zavaglia. (g.curcio@corrierecal.it)
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