«Le civiltà nascono e muoiono, ognuno ne può piangere o meno indifferente agli avvisi Alvariani. Per quelli che ne piangono, quasi sempre le loro sono lacrime di rettile da borsetta. Chi piange la morte del Sud contribuisce spingendo, spesso costringendo la prole a studi super specialistici, verso professioni altamente competitive. Se figlia o figlio siano geni da Bocconi poi non si fermano in periferia per infilarsi nei call center. Se si tende a formare solo vertici, i contesti non potranno sopravvivere senza le basi. Se vogliamo che la nostra genia sia da guinness rinunciamo al rabbocco di vita nello stagno morente.
Per quelli a cui, legittimamente, della morte del Sud non freghi nulla il problema non esiste.
Per sentimentali, prefiche e patriote convinte, la sopravvivenza del Sud passa da alcune cose senza le quali il rimanere è pura retorica, inganno, consolazione. La lotta: se non cacci il Feudo e i propri addentellati nessuno potrà rimanere se non a far da schiavo. L’educazione: nonostante le aspirazioni genitoriali, da influssi occidentali, alle figlie bisognerà far balenare la prospettiva di una serie di rinunce rispetto alle aspettative classiche fin qui coltivate.
Ai figli si potrà mostrare una felicità diversa, che essa non stia tutta in lavori e professioni messe di regola al top, perché ogni ruolo è al vertice nei mondi che lottino per non morire, che pastori e rettori siano uguali, ugualmente importanti. Ai figli, solo per chi si intigna a gridare viva il Sud, si dovrà parlare di accontento, di poche medaglie e coppe rispetto alle promesse che altri modelli sociali hanno fin qui proposto, senza poi ovviamente mantenere nella maggioranza dei casi.
Ecco, per i fan dell’accanimento terapeutico, si consiglia lotta ed educazione. Ed il coraggio di dire “accontentatevi figli che imparare a zappare a tessere vale quanto conoscere alla perfezione l’algoritmo di Sensavast».
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