L’ex superlatitante della ‘ndrangheta vibonese e ritenuto a capo dell’omonima cosca di Sant’Onofrio, Pasquale Bonavota, è finito al 41bis. Catturato a Genova solo ad aprile dello scorso anno, il rampollo della cosca è stato condannato a 28 anni mentre i pm della Dda di Catanzaro avevano chiesto trent’anni al termine del processo di primo grado “Rinascita-Scott”, celebrato in aula bunker a Lamezia Terme con rito ordinario. Bonavota (assistito dall’avvocato Tiziana Barillaro) ha lasciato nelle scorse settimane il penitenziario di Marassi, a Genova, dov’era sempre stato dal giorno del fermo e ora si trova ora nell’istituto di massima sicurezza di Spoleto.
Pasquale Bonavota è un elemento di vertice della consorteria, insieme ai fratelli Domenico “Mimmo” e Nicola Bonavota, nonché allo zio Domenico Cugliari (cl. ’59). Sulla figura di Pasquale Bonavota sono numerosissimi gli elementi emersi nel corso delle udienze dibattimentali. Sul conto dell’imputato hanno reso dichiarazioni, pienamente convergenti, i collaboratori di giustizia, che hanno attribuito in maniera univoca a Pasquale Bonavota «un ruolo apicale all’interno della struttura del sodalizio», annotano i giudici nelle motivazioni. «Mio papà ha detto una parola, e all’epoca io non capivo che era un ragazzo, ed oggi dico la verità. Se uno vuole fare il malandrino… mentalità… con il cervello, con diplomazia…». È ormai una delle intercettazioni più simboliche emerse prima dell’inchiesta e poi dal processo “Rinascita-Scott” contro la ‘ndrangheta vibonese. Ed è importante perché a pronunciarla è stato proprio Pasquale Bonavota.
Come riporta “Il Secolo XIX”, il capoclan era stato arrestato dai carabinieri del nucleo investigativo, che lo avevano fermato il 27 aprile dello scorso anno mentre stava andando a pregare all’interno della cattedrale di San Lorenzo, nel centro cittadino di Genova. Il blitz era scattato dopo una lunga attività di intelligence. A tradire Bonavota era stata la fede cattolica e nella sua abitazione l’Arma aveva trovato decine di santini e libri di preghiera. Nel corso degli accertamenti era inoltre emerso come il boss, in più di un’occasione, si fosse travestito da sacerdote mentre sul periodo della latitanza sono stati avviati approfondimenti paralleli a Genova, per circoscrivere la rete di persone che hanno agevolata Bonavota durante la fuga. Tra questi ci sarebbero esponenti della famiglia Garcea, da sempre in rapporti con il boss della ’ndrangheta, ma anche la gang di falsari che ha fornito al mafioso i documenti farlocchi recuperati nell’alloggio di San Teodoro. (g.curcio@corrierecal.it)
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