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La “vita a tricolori” di Salvatore, sindaco di Cerenzia

Nel suo libro Mascaro racconta il peso degli stereotipi e la forza della resilienza

Pubblicato il: 26/07/2024 – 6:56
di Emiliano Morrone
La “vita a tricolori” di Salvatore, sindaco di Cerenzia
Intervista con il sindaco Salvatore Mascaro

La «violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci», avvertì lo scrittore Isaac Asimov. È un monito che sembra ripetere Salvatore Mascaro, sindaco di Cerenzia, un piccolo Comune presilano con una storia che rinvia alla Divina commedia, al fiume Acheronte, che poi Dante Alighieri avrebbe descritto nel suo capolavoro di sapere e poesia. Mascaro ha quasi 35 anni, è molto legato al suo territorio e da tempo impegnato nel sociale e in politica. Di recente ha pubblicato il suo primo libro, intitolato “Una vita a tricolori”, che racconta la propria storia di ragazzino obeso e vittima di bullismo, poi laureatosi in Economia, diventato dipendente di una società di assicurazioni, quindi assessore e infine primo cittadino del suo paese. Questo giovane ha dunque dovuto combattere con pregiudizi, mortificazioni, forme di violenza e di emarginazione. Ma alla fine ce l’ha fatta, nel senso che non si è lasciato condizionare dalle influenze esterne, ha seguito il suo percorso e, soprattutto grazie alla vicinanza della moglie e alla vittoria elettorale, nello scorso autunno si è sottoposto a intervento chirurgico per perdere drasticamente peso.
Salvatore, che conosciamo e cui diamo quindi del Tu, ha voluto raccontare la sua vita: dalla condizione di vittima di bullismo alla responsabilità di governo pubblico, alla fascia tricolore da sindaco. Questo, ci dice nell’intervista di oggi, per trasmettere un messaggio di forza e insieme un esempio alle nuove generazioni, così come per parlare di bullismo tra gli studenti, tema sempre attuale ma ancora molto sottovalutato.

Da dove nasce l’idea di questo libro e perché è stato scritto?

«”Una vita a tricolori” nasce dalla volontà di trasmettere un messaggio di forza e di speranza, secondo il quale non bisogna mai arrendersi. In questo libro – e il sottotitolo parla anche degli stereotipi che ci sono imposti da questa società –, davanti a una vita piena di incertezze, dubbi, paure e anche tante delusioni
che, purtroppo, nel cammino della nostra vita dobbiamo affrontare, c’è la spinta del proprio destino e quella di avere dentro di sé una forza, una costanza, una determinazione di poter dire ce l’ho fatta, sono riuscito a fare qualcosa di importante e sono diventato anche un qualcuno. La storia che racconto in questo libro è la storia di chi alla fine si è realizzato nel concreto».

Quali sono le vicende, subite, oggetto del tuo racconto? Che cosa accadde nella tua adolescenza?

«Nella mia adolescenza, penso, ciò che (accade) nel 90 per cento dei casi dei bambini che sono in sovrappeso. Io mi sono definito “paffutello”, nel mio libro. Si subiscono atti di bullismo dovuti sempre al proprio peso, nella difficoltà di conoscere le ragazze, nella difficoltà di potersi vestire o adeguarsi a quella che è la moda o agli stereotipi che ci vengono imposti dalla società. Tutto questo, purtroppo, non si vede; però, ai bambini che soffrono di sovrappeso causa gravi problematiche. Io racconto nel mio libro tutte queste problematiche legate all’obesità, legate al peso, perché da piccolo non fai caso che il peso possa essere un problema; però, poi, con il passar del tempo, quando si attraversa l’età dell’adolescenza, si diventa più uomini, lì il peso si trasforma in una vera e propria problematica, che alla fine ho dovuto combattere, se si può dire, con un intervento chirurgico».

Non è facile raccontare di se stessi, non è facile ripercorrere i momenti della propria esistenza che hanno cagionato sofferenze eccetera. Perché lo hai fatto, per affidare la conclusione di un percorso alla letteratura, che è sempre foriera di cambiamenti non solo per sé ma anche per gli altri?

«Sì, l’ho fatto soprattutto per lanciare questo messaggio, perché è un messaggio di forza. Penso che se ce l’ho fatta io, ce la possono fare tutte quelle persone che combattono contro questo male che è il bullismo. Non è stato facile, perché mettersi a nudo e raccontare la propria esperienza fa male; perché devi ricordare quei momenti e soprattutto scriverli e condividerli con le altre persone che leggono il tuo libro. Però per me è un messaggio di forza, è un messaggio di aiuto a tutte queste persone. L’ho raccontato durante la presentazione del mio libro: purtroppo ci sono stati e ci sono ancora casi disperati di tantissimi ragazzi, non solo per il sovrappeso, ma per vari atti di bullismo, che si sono anche suicidati, si sono tolti la vita oppure qualcuno ha fatto di meno. Però io penso di aver lanciato e di lanciare, continuare a lanciare questo messaggio di forza per essere di aiuto a tutte queste persone che purtroppo soffrono il bullismo».

Contestualizziamolo questo bullismo subìto.

«Ci sono varie tipologie di bullismo. Quella che racconto io è legata all’obesità, a questo bambino paffutello che da piccolo viene escluso da tante situazioni, vicende. Io ne posso raccontare magari qualcuna, per esempio delle partite di calcetto. “Paffutello” viene messo sempre in porta perché visto come più debole, non riesce a correre, non riesce a giocare, a integrarsi con gli altri, quindi viene sempre emarginato. Tutti questi fenomeni li cito nel mio libro».

Quindi tu giocavi in porta?

«Per fortuna ero un attaccante, però ero un attaccante di peso. Secondo i miei compagni di classe, non riuscivo a muovermi. Però ero abbastanza forte. Ma da piccolo loro tendevano sempre a metterti in porta, perché, non riuscendo a correre, magari a giocare con gli altri, loro ti vedevano come più debole».

Poi che cosa è successo nel corso della tua vita?

«Io sono stato sempre impegnato nel sociale, ho fatto parte delle associazioni del territorio, sono stato presidente della Pro loco del mio paese. Poi cinque anni fa sono stato anche assessore nella mia comunità. Quello che mi ha spinto a fare l’intervento chirurgico è che poi, a un certo punto, il peso ha influito tanto anche sulla salute: cominciavano a pervenire i primi sintomi di malattia, giocando a calcio ho avuto il problema dei legamenti che non ho potuto operare per il peso. E poi sicuramente i motivi di salute. Sicuramente, avendo accanto una persona che mi è stata sempre vicino, come mia moglie, ho avuto anche la forza di sottopormi all’intervento chirurgico. Non ti nascondo, ho provato a farlo diverse volte, però la paura era stata sempre prevalente. Poi la vittoria, nello scorso maggio, come sindaco, lì mi ha spinto. Poi mi sono dovuto anch’io adeguare agli stereotipi, perché poi lì un primo cittadino ci mette la faccia: devi comparire, devi presenziare, devi essere presente. Allora lì ho dovuto anche io adeguarmi agli stereotipi, perché avevo anche difficoltà, avevo difficoltà magari a trovare una giacca, a indossare una camicia. Allora lì, preso da tutte queste situazioni e spinto anche dalla persona che mi è stata sempre accanto, ho deciso di farlo e poi, per fortuna, nel novembre dell’anno scorso sono riuscito a farlo. Ho attraversato una fase non bella, però ho perso tantissimi chili. E non è facile perché dicono l’intervento…; l’intervento non è facile perché devi seguire dei percorsi non solo alimentari ma anche psicologici molto molto accurati. Quindi, è una fase transitoria molto particolare».

Prevenzione del bullismo e dell’obesità, che cosa possono fare i Comuni?

«Personalmente, nella presentazione del mio libro, ho lanciato una campagna di sensibilizzazione con le scuole. Ci sono stati anche diversi dirigenti scolastici che sono stati presenti alla presentazione, mi hanno invitato già da settembre per poter portare questo progetto nelle scuole. Soprattutto, penso che bisogna fare una vera e propria campagna di sensibilizzazione nei confronti dei bambini».

Anche nei confronti dei genitori, spesso?

«Sì».

E, per quanto riguarda il bullismo, tu ritieni, anche dalla tua postazione di amministratore pubblico, che sia percepito come un tema da esorcizzare oppure c’è una coscienza viva che si tratta di un grosso problema?

«Ti posso garantire che ancora oggi è un grosso problema. Molti non riescono a capire e spesso la colpa è anche dei genitori. Io lo racconto nel mio libro perché i bambini tendono a chiudersi e a non raccontare la propria esperienza di vita. E spesso sono i primi che non riescono ad avere un confronto proprio con i loro genitori».

Che cosa consigli a chi ci ascolta?

«Chi subisce il bullismo si deve raccontare: non deve tenersi tutto dentro, ma deve parlarne con chi gli sta vicino, e sicuramente i genitori sono le persone che per prime vanno coinvolte».

Quali sono i tuoi auspici?

«Di poter condividere con più persone possibili questo messaggio di forza e arrivare non solo nel nostro territorio ma a far conoscere la storia a tantissime persone, affinché questo libro possa aiutare anche una sola persona».

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