COSENZA Dopo quasi tre anni di udienze, il 2024 sarà l’anno della sentenza del processo Bergamini. Una sentenza che arriverà in autunno, esattamente il primo ottobre. Un anno il 2024 che è stato ricco di momenti rilevanti.
Già a partire dal mel mese di gennaio quando si è tenuto un lungo e articolato confronto in aula tra i medici legali Roberto Testi, Vittorio Fineschi e Margherita Neri che, alla luce di una perizia effettuata nel 2017, sostengono che Bergamini il 18 novembre 1989 fosse già morto prima di essere investito dal camion di Raffaele Pisano, e il professore Francesco Maria Avato, sentito come teste, che nel gennaio del 1990 effettuò l’autopsia sul cadavere dell’ex calciatore del Cosenza. Per il medico legale Bergamini morì per il sormontamento del camion, tesi contestata dai suoi colleghi secondo cui la glicoforina dice che Bergamini era già morto prima che il camion lo investisse. «I polmoni di Bergamini – ha affermato Avato – erano soffici, non era presente del sangue. Il fegato non aveva particolari compromissioni. L’arteria iliaca era interrotta, con la sua compromissione in pochi secondi è arrivata la morte. È come se il ragazzo fosse stato sorpreso dal trauma. Il sormontamento ha causato il decesso. Il problema che mi sono posto in quel momento riguardava però le condizioni in cui si trovava la vittima quando è stato sormontato dal camion. A mio parere – ha continuato Avato – si trovava già a terra e la cosa è molto strana, anche se escluderei il soffocamento. Ecco perché inizialmente pensai di cercare nel corpo sostanze narcotizzanti ma la tecnica generica che ho utilizzato lo ha escluso». Avato ha poi spiegato che quando fu incaricato dell’autopsia non ricevette altre informazioni. «In pratica – ha rivelato – ho lavorato al buio, senza un verbale, delle foto, una ricostruzione dell’incidente. Svolsi l’esame nel cimitero di Boccaleone di Argenta (Ferrara, ndr), faceva freddo e le condizioni non erano proprio ideali. Non fu fatto alcun esame radiologico, così come non ci furono prelievi istologici. Una volta depositata la relazione finale, non ho più avuto alcun contatto con i magistrati».
Il 25 gennaio è stato ascoltato Alfredo Iuliano, ex giornalista oggi in pensione che da anni non ha più rapporti con il figlio Mark, ex difensore della Juventus. Una rottura da attribuire a Michele Padovano, ex calciatore del Cosenza e amico di Bergamini. «Io sono un padre ferito – ha detto il teste – nei confronti di Michele Padovano nutro un sentimento di rancore. L’ho conosciuto di persona nel 1999 – ha detto il teste di giornata –, eravamo a casa di mio figlio a Torino. Bussò alla porta, cercava Mark che stava dormendo. Entrò in camera da letto e rimase lì per un po’. La porta era socchiusa e riuscii ad ascoltare qualche parola come “questa è buona, questa la prendono altri calciatori”. Suppongo che si riferisse alla droga. Quando Padovano andò via, lo seguii e lo invitai a non tornare a casa di mio figlio. Aveva uno zainetto sulle spalle». Iuliano ha parlato poi di una sua intervista a Domizio Bergamini, padre di Denis, effettuata nel 2009. «Mi confidò fuori dall’intervista – ha ricordato l’ex giornalista – che Antonio Paese (esponente della mala cosentina, ndr) minacciava Bergamini e che Padovano lo manipolava. Dopo un Monza-Cosenza del 1989, Domizio aveva notato che c’era stato qualcosa di poco regolare in quella partita. Denis gli aveva giurato che era estraneo al calcioscommesse ma il padre non gli aveva creduto. Quelle rivelazioni Domizio me le fece con apprensione, infatti mi disse che non bisognava divulgarle e così feci». «Domizio – ha continuato il teste – mi rivelò che suo figlio era succube di Paese, gli incuteva timore e fu costretto a comprare la Maserati. Mi disse che Paese, sollecitato da Isabella Internò, intervenne anche nella vicenda della gravidanza. Domizio era convinto che la vita di Denis fosse in pericolo da quando aveva deciso di uscire dal giro. In quel periodo il Cosenza calcio era in mano alla malavita».
Il 13 febbraio l’ex killer della Camorra Angelo Pugliese chiamato a testimoniare ha parlato di un’informazione che avrebbe ricevuto quando era detenuto nel carcere di Castrovillari. «Il boss Abruzzese – ha raccontato – mi disse che Bergamini fu ucciso perché voleva dissociarsi da quel sistema di corruzione sulle partite». Al teste è stato chiesto se Ciro Muro, ex calciatore prima del Napoli e poi del Cosenza alla fine degli anni ’80 e Michele Padovano (anche lui ex Napoli e Cosenza), facessero uso di cocaina. «Mi fermo qui – ha replicato Pugliese – se non cambia qualcosa, più di questo non posso dire. Sanno dove sono, possono uccidermi quando vogliono. Se Gratteri mi dà delle garanzie, io vengo a Cosenza e dico tutto». Pugliese nel corso della sua escussione ha tirato in ballo anche gli scudetti del Napoli, l’attentato al giudice Paolo Borsellino e alcuni calciatori come appunto Muro, Padovano e Gianfranco Zola. Le sue dichiarazioni sono state però smentite l’8 aprile 2024 dai diretti interessati chiamati in udienza a Cosenza.
Il 23 febbraio 2024 la professoressa Emanuela Turillazzi, direttore dell’Unità operativa di Medicina legale dell’Aoup nonché ordinario di Medicina legale all’Università di Pisa, è stata chiamata in causa dall’avvocato della difesa Angelo Pugliese. Turillazzi nel 2016 è stata contattata dal medico legale Vittorio Fineschi per avere un parere sulle possibilità di effettuare ulteriori indagini sul cadavere esumato dell’ex calciatore del Cosenza morto a Roseto Capo Spulico il 18 novembre 1989. «Su Bergamini – ha detto – è verificata una compressione al collo, quindi un meccanismo asfittico».
Il 27 marzo è salito sul banco dei testimoni Luciano Conte, marito dell’imputata Isabella Internò, soprintendente capo coordinatore di polizia in pensione. «Nel 1989 – ha spiegato – io e Isabella non eravamo fidanzati. Rota (la moglie di Lucchetti, ex calciatore del Cosenza, ndr) ha inventato tutto». E poi ancora: «Dell’aborto di Isabella ho saputo solo nel 2011. Prima non parlavamo del caso Bergamini».
Il 7 maggio scorso è toccato invece a Liliana Innamorato, medico legale e consulente della difesa nel processo Bergamini. «La glicoforina? – ha evidenziato – Non è attendibile, anche se non l’ho mai utilizzata». Anche a lei è stato concesso un lungo confronto in aula con i medici legali Testi e Neri. «Bergamini – ha aggiunto – è stato parzialmente sormontato, Fineschi sbaglia». È stata poi fatta ascoltare un’intercettazione telefonica del 2017 tra Luciano Conte e la stessa Innamorato in cui quest’ultima sottolinea al marito di Isabella Internò che «qui il problema è un altro, le indagini, le cose che fanno stanno destando sospetti. Il morto pure a distanza di tempo parla». Il medico legale dopo essersi riascoltata in aula ha detto che quella frase (il morto parla) «la uso spesso, ma a distanza di anni non mi ricordo tutto. Ricordo solo che c’era stata la lettura dei preparati istologici e avendo percepito l’orientamento dei periti, mi sono preoccupata». (f.veltri@corrierecal.it) (fine)
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