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‘Ndrangheta, il racconto del pentito Giampà. «Mi chiesero di uccidere Pititto per vendetta, ma non mi fidavo»

Il pentito classe ’80, in aula bunker, ha illustrato i legami della sua vecchia cosca con quelle vibonesi, ma anche i rapporti con la ‘ndrina in Brianza e il cugino Stagno

Pubblicato il: 29/07/2024 – 13:17
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, il racconto del pentito Giampà. «Mi chiesero di uccidere Pititto per vendetta, ma non mi fidavo»

LAMEZIA TERME «Mi venne chiesto di eliminare questo soggetto, un uomo in sedia a rotelle. A chiedermelo fu Fortunato Galati, il fratello della moglie di mio cugino Stagno. Lo ritenevano, infatti, responsabile della morte del padre di Fortunato quindi si trattava di una vendetta». Lo ha detto questa mattina, in aula bunker, il pentito Giuseppe Giampà (cl. ’80), interrogato dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli, nel corso dell’udienza di “Maestrale-Carthago” davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia. Il riferimento del pentito è evidentemente a Pasquale Pititto, il boss 56enne sulla sedia a rotelle dall’inizio degli anni ’90, dopo aver subito un attentato proprio ad opera del clan rivale di Galati. Il boss, peraltro, è finito recentemente al 41bis e sta scontando l’ergastolo per l’omicidio di Pietro Cosimo, commesso negli anni ’80 con Nazzareno Prostamo, avvenuto a Catanzaro su mandato dell’allora capo dei Gaglianesi.

La richiesta di Galati

«Ne abbiamo parlato, ricordo, ma avrei dovuto valutare bene la situazione» ha spiegato ancora Giampà, «ma non mi fidavo della zona, non la conoscevo, e ancora di più non mi fidavo neanche di Fortunato Galati. Ne ho parlato anche con mio cugino, Stagno, anche lui era scettico». Ricordo che Galati «mi disse che questo soggetto andava sempre in un bar, in piazza a Mileto, e quindi voleva che questo omicidio fosse commesso lì». Come ha spiegato ancora Giampà, il problema «non era l’omicidio in sé ma la fuga dopo l’agguato, ma non conoscevamo neanche gli eventuali legami familiari».
Il soggetto da eliminare, in buona sostanza, era di fatto «il suocero di mio cugino, sia Antonio Stagno che Rocco Cristello erano cognati, hanno sposato le due sorelle Galati» ha spiegato Giampà «ma il problema è che quell’omicidio era successo prima del matrimonio, avrebbero quindi dovuto vendicare un omicidio che non li riguardava. Fosse accaduto dopo, allora il discorso sarebbe stato ben diverso». «So – ha spiegato infine Giampà – che questo soggetto in sedia a rotelle era ai vertici della ‘ndrangheta a Mileto, so che la parte di Carmine Galati, invece, stava con lui».

La ‘ndrina a Seregno e in Brianza

Interrogato dal pm della Dda, il pentito ha parlato anche delle dinamiche criminali in Brianza, facendo riferimento al cugino Antonio Stagno. «Aveva una piccola ‘ndrina in Brianza ma scendeva spesso in Calabria. Aveva rapporti con noi, eravamo parenti, ma aveva anche legami con i Mancuso, c’era il suo compare “devoto” a Scarpuni. Se c’era una attività illecita in Brianza davano comunque conto a loro. In questo gruppo c’erano anche Paolo De Luca e alcuni soggetti del Vibonese, il cognato Sergio Sannino, il fratello Gianluca, ma quello che dirigeva tutto era Antonio, a cominciare dai traffici di droga». Secondo il pentito, inoltre, Stagno era cognato di Rocco Cristello, soggetto indicato come «a capo delle zone di Seregno e Giussano. Era lui il capo indiscusso della zona. Dopo la sua morte subentrarono i Gallace con Belnome, inserito come “capo società”. Ricordo che era entrato in contrasto con mio cugino ci sono stati un po’ di problemi con incendi, minacce, fu ucciso lo zio di mio cugino, Rocco Stagno. Insomma, ci furono un paio d’anni di turbolenze tra spari, omicidi e atti intimidatori». «Tutto nato – ha spiegato Giampà – per comandare sul territorio e su tutti, a cominciare dalla gestione delle estorsioni in Brianza effettuate senza dare conto ai capi».
«Questo locale di Giussano» ha spiegato al pm il pentito Giampà «era composto da persone di origini vibonesi, c’era una forte popolazione proveniente dalla zona di Vibo. Gli stessi Cristello avevano origine da San Giovanni di Mileto. Poi c’erano i Galati parenti della moglie di mio cugino, Caterina Galati, a cui fu ucciso il padre negli anni ‘90».  «Questo Michele Galati lo incontravo spesso in Brianza, sapevo che era un ragazzo che si guardava per via di alcuni problemi, era comunque una persona definita “affidabile” da parte di mio cugino Stagno, ma non ho mai avuto a che fare con lui». «Io avevo una guerra a Lamezia, mi fidavo poco in quel periodo, quindi non sapendo di chi fidarmi evitavo gli spostamenti», racconta infine il pentito. (g.curcio@corrierecal.it)

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