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Naufragio di Cutro, in aula i presunti scafisti: «Uno è scappato»

Alla sbarra Khalid Arslan, Sami Fuat, Hasab Hussain. Un imputato si rifiuta di rispondere e canta «mi state rovinando la vita»

Pubblicato il: 30/07/2024 – 20:36
Naufragio di Cutro, in aula i presunti scafisti: «Uno è scappato»

CROTONE Uno degli scafisti del caicco Summer Love che il 26 febbraio 2023 naufragò davanti le cose di Steccato di Cutro provocando 94 morti e una decina di dispersi, sarebbe riuscito a fuggire. A dirlo è stato stamani Khalid Arslan, di 26 anni, pakistano, nel corso del processo in corso a Crotone, nel quale è imputato perché ritenuto uno degli scafisti. Nel corso del suo esame, Khalid ha indicato il presunto scafista che si sarebbe allontanato mostrando una fotografia tratta da un video.

«Se fossi stato lo scafista sarei scappato. Ho pagato la quota del viaggio come tutti»

«Dopo che si è rotta la prima barca sulla quale c’erano due siriani – ha detto – è arrivata la seconda sulla quale siamo saliti. L’equipaggio era di due siriani e tre turchi. Avete arrestato me che ho pagato il viaggio ed ho viaggiato come passeggero, ma avete lasciato libero questo siriano che ho visto andare a riparare il motore più volte, era lui che stava sulla prima barca e che contava le persone e comunicava con gli altri scafisti Guler Bayram (deceduto nel naufragio ndr), Gun Ufuk (già condannato in abbreviato a 20 anni, ndr). Lui è scappato». L’uomo ha anche rivelato di aver sentito uno dei siriani, nel corso della navigazione, dire che ci sarebbe stata una macchina sulla spiaggia per prelevarli: «Bayram e Ufuk volevano riportare la barca in Turchia, ma questo siriano e l’altro arrestato a Lecce (Mohamed Abdessalem, anche lui condannato a 20 anni in abbreviato, ndr) hanno telefonato in Turchia per fare arrivare una macchina per la fuga». Khalid Arslan, poi, si è messo a piangere quando ha visto il video del naufragio girato dai pescatori crotonesi che si trovavano sulla spiaggia. In quelle immagini c’è anche lui che va in acqua a salvare una persona: «Il pescatore mi diceva di tornare indietro, ma io sono andato a prendere persone. Ho tolto tante persone, ma anche molti cadaveri dal mare. Se io fossi stato lo scafista sarei scappato». Riguardo alle accuse di aver collaborato con gli scafisti il difensore di Khalid, l’avvocato Salvatore Perri, ha mostrato la ricevuta del pagamento ed anche il prestito che uno zio aveva fatto al padre dell’uomo per pagare il viaggio, ed anche dei video. «Ho pagato la quota del viaggio come tutti – ha detto Khalid -. Siccome io parlo il turco gli afgani che erano nella barca mi hanno chiesto di fare da traduttore per chiedere di poter andare in coperta quando qualcuno stava male. Io non ho mai collaborato con loro. C’è un video in cui sono al timone, ma lo hanno fatto tutti come un selfie: il timone, si vede, era bloccato: non guidavo la nave. Era solo per una foto. Nel video sono con gli altri passeggeri, io sono come loro, non sono un trafficante».

Un imputato si rifiuta di rispondere e canta «mi state rovinando la vita»

Ha cantato in turco «mi state rovinando la vita» prima di lasciare il banco dei testimoni Sami Fuat, uno dei tre presunti scafisti a processo per il naufragio di Steccato di Cutro. Fuat, 51anni, ha sorpreso anche il suo avvocato, Teresa Palladini, rifiutandosi in modo plateale di sottoporsi all’esame di accusa e difesa davanti al collegio penale del Tribunale di Crotone. Nell’udienza durata quasi sei ore si sono invece difesi strenuamente gli altri due imputati, Khalid Arslan, 26 anni, e Hasab Hussain, di 22 anni, entrambi pakistani.

Le foto dei passaporti sul telefono di Hasab Hussain

Lunghissimo l’esame di Hasab Hussain, ritenuto essere componente dell’organizzazione del viaggio. Il pubblico ministero Pasquale Festa, lo ha incalzato su una serie di centinaia di messaggi rinvenuti sul telefonino dell’imputato dal quale emergerebbe la sua intraneità all’organizzazione. «Non è vero – ha esordito Hasab -. Io avevo lasciato il Pakistan nel 2021 ed ero entrato in Turchia dall’Iran. Mio padre tramite un suo amico in Turchia aveva contattato un trafficante, Ali Hassan. Avevo provato quattro volte a partire per l’Europa, ma era andata male. Per questo avevo ormai confidenza con i trafficanti che mi chiedevano di fare delle cose per loro ed io le facevo per timore di essere picchiato». Hasab ha giustificato alcuni messaggi tra i quali alcuni relativi al rilascio dei passaporti: «è di un ragazzo che abitava con me e che aveva raggiunto l’Italia e mi chiedeva se potevo spedirgli il passaporto che aveva lasciato a casa in Turchia». Ad un altro amico spiegava procedura e soldi che servivano per i viaggi: «Io gli ho detto come fare perché ci avevo provato altre volte. Non ho mai preso soldi da alcuno, ho pagato 7,600 euro il mio viaggio. Ho solo aiutato un mio amico a contattare trafficanti». Hasab in udienza, ha contestato la traduzione di alcuni messaggi: «Non dico faccio partire le persone, ma ci fanno partire» anche se poi la traduzione chiesta dal presidente del collegio penale, Edoardo D’Ambrosio all’interprete presente, ha ribadito il contrario. Sul punto l’avvocato Perri ha sostenuto che quanto fatto non può essere ammessa come prova dibattimentale. Su alcuni messaggi non ha saputo dare indicazioni sostenendo che non fossero i suoi. «Le persone – ha detto – scrivevano a me perché avevo fatto altri tentativi prima ed avevo confidenza con i trafficanti». Il presidente del collegio penale gli ha chiesto anche perché sul suo telefono ci fossero decine di foto di passaporti di persone. Hasab non ha saputo rispondere né ha riconosciuto di chi fossero quei documenti. «Quando siamo arrivati in Italia – ha detto – chi si è salvato ha chiesto di poter usare il mio telefono per contattare i parenti e tutti hanno iniziato a chiamare dal mio telefono. Vorrei sapere anche io come mai ci sono tutte queste foto».

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