LAMEZIA TERME «Ho iniziato a collaborare a marzo 2015, primo per cambiare vita, poi perché non mi sentivo più un criminale, volevo lasciare quel mondo, costruirmi una nuova vita. Mi sono sentito marcio e quindi ho iniziato a collaborare con la giustizia». «Ero stato arrestato per l’omicidio di Fortunato Patania, nel giro di pochi giorni ho scelto di pentirmi».
Debutta così, nel processo Maestrale-Carthago, il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, classe 1986, “battezzato” per la prima volta nel 2010 all’interno della cosca di Piscopio fino a raggiungere nel 2014 il grado del Vangelo nel carcere di Frosinone. Moscato è stato un killer, ha commesso estorsioni, rapine, danneggiamenti, reati in materia di armi e droga, è scampato a diversi agguati. A proposito dell’omicidio di Patania lo stesso Moscato è stato condannato in via definitiva – pena espiata – poi è stato condannato in appello in “Rimpiazzo”. «Ero stato condannato per armi con Rosario Battaglia, quando c’era la faida con i Mancuso, e ora ho scoperto di essere indagato anche per l’omicidio Longo».
Durante l’interrogatorio della pm del pool antimafia della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, davanti ai giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, spazio ai legami tra la cosca dei Piscopisani e le famiglie operanti a Mileto. E, in questo scenario, entra in gioco la figura di Franco D’Onofrio, coinvolto nell’inchiesta “Minotauro”. Ora D’Onofrio è un uomo libero dopo aver scontato la sua condanna emessa proprio al termine del processo contro le cosche di ‘ndrangheta in Piemonte, è un ex militante di Prima Linea e aveva sempre respinto l’accusa di essere entrato nella ‘ndrangheta affermando: «Io dissento totalmente dalla mafia». «C’erano dei buonissimi rapporti con diversi soggetti di Torino ma originari di Mileto» ha spiegato Moscato «fra tutti erano ottimi quelli con Franco D’Onofrio, era un soggetto molto conosciuto nella criminalità organizzata vibonese» ha spiegato Moscato.
È lo stesso pentito, poi, a chiarire un aspetto significativo rispetto all’operatività della cosca di Piscopio nello scenario criminale. «I Piscopisani non davano retta a nessuno, andavano contro tutti, soprattutto contro i Mancuso, anche il diavolo. Ma quando parlava D’Onofrio tutti stavano ad ascoltare, prendevamo in considerazione molto seriamente i suoi consigli. D’Onofrio a tutti gli effetti era il nostro Luigi Mancuso. Era un personaggio grosso, molto più di un capo cosca. Talmente potente e rispettato che era in grado di fare aprire un locale di ‘ndrangheta composto da ragazzi con la sua sola parola, bastava che parlasse lui con i referenti di Polsi e San Luca. Franco D’Onofrio aveva una clinica per persone con problemi mentali. Per me all’epoca era paragonabile a Luigi Mancuso come spessore criminale».
Nel corso della sua deposizione, e su input della pm Frustaci, Moscato ha spiegato: «Da Franco D’Onofrio ci siamo recati spesso per avere l’autorizzazione per aprire il locale di ‘ndrangheta, ma anche per altri problemi. Con Rosario Battagli ricordo che gli portammo anche un’arma in regalo. Quando era detenuto dopo il blitz “Minotauro”, andammo a trovarlo, ricordo che ci sosteneva nella nostra faida contro i Patania. Ci aveva mandato un tale Roberto, era delle zone del Comasco. Questo era in possesso di un bazooka e diceva che si sarebbe messo a nostra disposizione per far saltare in aria i Patania da una montagna». (g.curcio@corrierecal.it)
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