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‘Ndrangheta, il pentito Giampà: «A casa di Ascone bidoni di droga, da lui ho comprato anche armi»

Il collaboratore di giustizia, durante l’udienza in aula bunker, ha raccontato dei rapporti “intimi” con ‘U Pinnularu. «Voleva che torturassi uno dei suoi dopo una rapina ma mi rifiutai»

Pubblicato il: 31/07/2024 – 6:41
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, il pentito Giampà: «A casa di Ascone bidoni di droga, da lui ho comprato anche armi»

LAMEZIA TERME «Io facevo riferimento più a Luigi Mancuso come soggetto da stimare, ma c’erano anche i Cuturello, Salvatore Ascone, sempre legati ai traffici di armi e droga». A rispondere al pm della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli, è stato il collaboratore di giustizia Giuseppe Giampà, classe 1980, interrogato durante l’udienza del processo “Maestrale” di scena in aula bunker davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia.
«Con Ascone – ha spiegato Giampà – avevo rapporti personali, spesso andavo a casa sua. Ricordo che aveva dei bidoni nascosti con dentro droga, dalla cocaina all’eroina e la marijuana, li teneva in una sorta di stalla. Poi ricordo che aveva un grande quantità di armi, da lui ho acquistato Kalashnikov, pistole, M12, ma soprattutto droga, hashish, marijuana e cocaina».

La Jonica e Bandera

A proposito di Ascone, il pentito ha spiegato: «So che era in rapporti con famiglie della Jonica, spesso si incontravano e andavano da lui a comprare droga soprattutto quando restavano a secco dai loro fornitori abituali. Lo so perché in tante occasioni capitavo anche io in questi loro incontri». Il pentito, parlando sempre di Salvatore Ascone, ha confermato «che facesse riferimento a “Bandera”, dalla parte di Peppe Mancuso, so che lo chiamavano “Pinnularu”, questo era il suo soprannome».

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Salvatore Ascone ‘U Pinnularu

Il furto di soldi e il tentativo di vendetta

Nel suo intervento, Giuseppe Giampà racconta un episodio particolare su Ascone. «Ci fu un’occasione in cui ad uno dei suoi, un suo uomo che curava per lui il trasporto e gli spostamenti di soldi, subì una rapina». Secondo il racconto di Giampà «Ascone pensava che il responsabile della soffiata fosse uno che lavorava con lui, forse un cittadino ucraino o bulgaro, non ricordo, ma ricordo che sia a me che a mio cugino Stagno chiese di uccidere questa persona». Dal canto suo, ha spiegato Giampà in collegamento in aula, «mi ero messo a disposizione per ucciderlo, ma volevo farlo con un classico agguato. Ricordo che Ascone, invece, voleva che la catturassimo e lo rapissimo, insomma voleva che glielo portassimo così che lo interrogasse lui stesso, voleva torturarlo e farlo parlare io però a queste condizioni mi tirai indietro». Nel suo racconto Giampà ha spiegato che «Ascone si era rivolto ad alcuni soggetti di Rosarno, ma non so i dettagli. L’unica cosa che ricordo è che poi questo soggetto è sparito, ma non so altro».

Il negozio a Tropea

Parlando di Bandera – di cui non ricorda il nome – Giampà ha raccontato che era comunque «uno dei Mancuso. Una volta con Ascone siamo andati a casa sua, c’era mio cugino Stagno, ma non ricordo né il luogo né le ragioni». Come esponenti dei Mancuso, ricorda qualcun altro? Chiede il pm Buzzelli. «Ho conosciuto anche Diego Mancuso, c’era un imprenditore lametino che stava aprendo un negozio di abbigliamento vicino Tropea e con lui andammo a casa di questo Mancuso, me lo fecero conoscere in quella occasione, ricordo che c’era una sorta di comparaggio». «Lo “passarono a novità” cioè, in questi casi, si passa la notizia di una eventuale apertura di un’attività ai capi della zona – ha spiegato il collaboratore – per evitare eventuali atti intimidatori, o anche l’occasione per stabilire mazzette, sconti nei negozi e cose del genere». «Ricordo che era spesso in carcere, quindi l’ho visto solo un paio di volte nei primi anni 2000». (g.curcio@corrierecal.it)

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