ROCCELLA JONICA Nella struttura di prima accoglienza allestita al porto delle Grazie c’è solo un gruppo di migranti di passaggio e in attesa di trasferimento, arrivano da Vibo dopo essere sbarcati a Lampedusa. L’ultimo soccorso è avvenuto lo scorso 5 luglio con l’arrivo di 76 persone. Un arrivo come tanti ce ne sono stati, nel corso degli ultimi anni, nel piccolo porto di Roccella Jonica. Ma i segni della tragedia che ha colpito la cittadina della Locride solo un mese e mezzo fa ci sono ancora e rimangono indelebili nel cuore di chi ha prestato i primi soccorsi.
Di quel 17 giugno rimangono i ricordi di chi è sopravvissuto e ha avuto la forza di raccontare l’orrore che adesso la Procura di Locri sta cercando di ricostruire attraverso le indagini. Solo undici i sopravvissuti. Erano più di 60 – secondo i racconti dei superstiti – i migranti a bordo della barca a vela partita dalla Turchia e naufragata al largo delle coste ioniche calabresi nello specchio di mare al limite delle aree Sar di competenza della Grecia e dell’Italia a circa 100 miglia dalla Calabria. Sono poche le informazioni ufficiali fornite dalla Prefettura di Reggio Calabria e dalla Guardia Costiera dai primi momenti in azione in mare. Sarebbero 46 i corpi recuperati in mare, tra loro molti bambini.
Una tragedia immane, che ha colpito ancora una volta la Calabria, a un anno di distanza dalla strage di Steccato di Cutro, e vissuta a Roccella Jonica, dove i corpi dei migranti sono stati trasportati nelle ore successive al naufragio dell’imbarcazione. Uno scoppio o un guasto a bordo, la possibile causa alla base della tragedia. Domani dall’aeroporto di Reggio Calabria partiranno con destinazione Iraq, a bordo di un Air Force, sei salme.
Roccella non dimentica. Nell’immediatezza della tragedia, la Chiesa di Locri-Gerace, oltre a mobilitarsi per l’accoglienza dei superstiti del naufragio, ha accolto l’invito del vescovo e ha partecipato a una fiaccolata e veglia di preghiera sul Lungomare della cittadina della Locride. Questa mattina, a un mese e mezzo dalla tragedia, erano tanti, soprattutto le associazioni, i presenti alla celebrazione eucaristica nella Chiesa di San Nicola ex Aleph. Un momento di raccoglimento e preghiera, concomitante con il rientro nei paesi di origine delle salme di alcuni migranti, con una messa in suffragio delle vittime che il vescovo di Locri, monsignor Francesco Oliva, ha ricordato con commozione: «Lo abbiamo fatto per rendere giustizia a queste persone che fuggono dai loro paesi martoriati da guerre e calamità, per venire in terre per trovare una degna ospitalità, tanti di loro non sono riusciti ad arrivare e hanno perso la vita in mare». Parole di ringraziamento poi nei confronti dei soccorritori sempre in prima linea durante gli arrivi di migranti: «Anche questa celebrazione è un’occasione per dire grazie, il grazie della comunità alle persone impegnate nei soccorsi. Sono veramente tante, la loro azione è un’azione molto importante che va al di là dei loro doveri professionali: ci vuole veramente tanto cuore per farlo».
«La preghiera è il luogo, il ponte tra il cielo e la terra. In questi giorni in cui queste salme partiranno abbiamo deciso di affidare al Signore le loro anime attraverso la preghiera, ma soprattutto anche nel silenzio fare passare un messaggio, perché l’impegno verso la solidarietà e verso l’accoglienza non deve fermarsi». Così ai microfoni del Corriere della Calabria Don Rigobert Elangui, direttore dell’Ufficio pastorale Migrantes della diocesi di Locri-Gerace, che ha aggiunto: «Questo era un momento importante anche per stare insieme agli operatori e ai soccorritori, con quanti sono sempre impegnati. È un’occasione anche interpellare le coscienze su queste situazioni che si ripetono, prima Lampedusa, poi Cutro, Roccella. Non abbiamo ancora imparato niente».
«Alcune famiglie potranno finalmente riavere i corpi dei propri cari, e oggi durante la veglia il nostro pensiero era rivolto a quelle famiglie che ancora non sono riusciti ad avere notizie dei loro familiari. Tantissime salme ancora non sono state riconosciute, sono stati richiesti gli esami del Dna, però è ancora una vicenda piuttosto lunga», racconta ai nostri microfoni Concetta Gioffrè, presidente della Croce Rossa-Comitato Riviera dei Gelsomini. «Per noi è stato un periodo impegnativo, abbiamo vissuto intensamente questa tragedia immane nell’immediatezza». Il lavoro della Croce Rossa al porto non si ferma mai. «Rimane questa nostra voglia di accogliere. Questo luogo – conclude Gioffrè – è definito “Molo della Pace”, questa riva per molti significa libertà di un futuro, libertà di un’altra vita. Il nostro pensiero va a coloro, a quelle famiglie, a quei nuclei familiari, a quei bambini che non sono riusciti a raggiungere questa meta così agognata». (m.ripolo@corrierecal.it)
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