LAMEZIA TERME I rapporti dei Piscopisani con altre consorterie criminali, quelle nel Vibonese ma anche fuori regione come in Piemonte, ma anche i contrasti, le faide e i rapporti “complicati” con altri locali di ‘ndrangheta e, soprattutto, con altri elementi di vertice. Soggetti “apicali” finiti nel mirino con l’obiettivo di eliminarli e dettare la nuova linea. Almeno nelle intenzioni. C’è questo e molto altro nei racconti in aula bunker del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, sentito dalla pm del pool antimafia della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci nel corso del processo “Maestrale-Carthago” davanti ai giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Il collaboratore di giustizia classe 1986, “battezzato” per la prima volta nel 2010 all’interno della cosca di Piscopio fino a raggiungere nel 2014 il grado del Vangelo nel carcere di Frosinone, è stato un killer, ha commesso estorsioni, rapine, danneggiamenti, reati in materia di armi e droga, è scampato a diversi agguati.
E tra i nomi «di spicco» finiti nel mirino del nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio c’era Peppone Accorinti. «Lui era al livello di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso e il nostro obiettivo era proprio quello di eliminare i vertici dell’organizzazione che comandavano insieme ai Mancuso di Limbadi», ha spiegato Moscato. Il pentito spiega delle frizioni con Francesco Scrugli e spiega che i Piscopisani erano d’accordo che «se ce ne fosse stata l’occasione, i Piscopisani erano pronti a far fuori Peppone Accorinti». Il periodo storico definito da Moscato è il 2011 «ma loro so che ci provavano già da prima del 2010, cioè da prima che venissi affiliato».
Su input della Frustaci, il pentito spiega anche i tentativi – falliti – di assassinare Peppone Accorinti. «Ricordo che andammo a rubare una macchina che poi avremmo dovuto utilizzare per l’agguato. Il nostro piano era quello di vestirci da poliziotti, fingere un posto di blocco, fermare Accorinti e ucciderlo, ma non ci riuscimmo». E ancora: «Sapevamo poi che Peppone Accorinti aveva il permesso di recarsi da un dentista, a Vibo Marina, di fronte casa mia, porta e porta». «Scrugli o Battaglia erano riusciti a sapere dei permessi di Peppone grazie ai quali poteva allontanarsi, conoscevano il giro che faceva, insieme a Lollo Niglia, dal dentista, dall’ingrosso del pesce e poi da Vacatello». «Non so come erano riusciti ad avere informazioni sui suoi spostamenti, ma anche in questo caso non riuscimmo ad ucciderlo».
Durante l’udienza, il pentito Moscato ha spiegato un altro aneddoto legato ai tentativi di assassinare Peppone Accorinti. «Rubai una Mazda station wagon in spiaggia, a Pizzo, ad uno che stava pescando, gliel’ho sottratta con la pistola». L’auto fu poi ritrovata a Piscopio perché, secondo Moscato, «quelli che abitavano lì nei paraggi, un quartiere popolare, hanno chiamato i vigili perché si erano messi paura. Una volta controllata ovviamente risultava rubata e così l’hanno sequestrata e per questo non siamo riusciti ad utilizzarla e compiere l’agguato contro Peppone Accorinti».
La pm Frustaci si è poi concentrata sui rapporti con la potente cosca Bonavota di Sant’Onofrio. «C’era un’alleanza, anche loro ambivano ad uccidere “Scarpuni”, c’era quindi una comunanza di obiettivi con i Piscopisani e altre famiglie scontente della “gestione” dei Mancuso». «Volevano eliminare Pantaleone Mancuso per conquistare un bel pezzo di provincia vibonese – racconta ancora Moscato – c’erano i Bonavota, gli Emanuele, noi e in parte Mantella. L’obiettivo era rimasto nel cassetto anche prima della faida con i Patania. Da questa prima alleanza, sono seguite delle riunioni con Francesco Fortuna, Scrugli, Rosario Battaglia e Domenico Bonavota, con lui in particolare non abbiamo avuto poi altri incontri specifici oltre alla vicenda omicidiaria» ha poi spiegato Moscato «forse nel caso delle slot machine, c’era interessi nei circoli del territorio vibonese, ma non so di altri affari neanche dei miei». (g.curcio@corrierecal.it)
x
x