In Calabria, il MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) dà letteralmente i numeri e si affida ai criteri: «chi prima arriva, prima alloggia» e «chi tiene santi va in paradiso» ed a queste latitudini si sa, un “santino” non si nega a nessuno. Accade però che qualcuno, durante la baraonda di spegnimenti e la scomparsa e (ri)comparsa di marchi calabresi dal 10 al 19, chieda conto al dicastero competente, confidando nel rispetto delle norme che regolano il sistema radiotelevisivo. Ma come nella commedia degli equivoci goldoniana – si consumano improbabili “curiosi accidenti” – che inevitabilmente provocano la girandola di ricorsi – approdati al Tar ed in Consiglio di Stato. E ancora (è di ieri la notizia) che il MIMIT – come se non fosse già abbastanza chiaro a tutti il concetto di caos prodotto – spariglia nuovamente la numerazione senza aspettare il pronunciamento dei giudici, fissato ad ottobre.
Ma cerchiamo di spiegare ai telespettatori calabresi, sbigottiti e ignari, quanto sta accadendo – dal 29 aprile 2024 – nella cosiddetta Area Tecnica 16 con le graduatorie ministeriali (qui quella resa nota il 29 aprile 2024, che aggiorna qui la precedente del 30 ottobre 2023) che modificano, sbrigativamente, numeri e destini.
Tutto parte dal numero karmico, dal 13, assegnato dal MIMIT al marchio Telemia per il mancato rinnovo dell’«autorizzazione a trasmettere» di Calabria TV – entro i 30gg consentiti dall’AGCOM, per scongiurare «l’estinzione».
Manco a dirlo succede anche al 17, a LaC On Air, ma la superstizione dei numeri non c’entra perché la motivazione non cambia. Nel caso del 17 il dicastero (ri)assegna però allo stesso marchio (sarà stata la paura della sfiga?)
E non cambia numero il 14, il marchio RTI, che prima ricorre al Tar, poi al Consiglio di Stato che rimanda al Tar.
In quella che è, per usare la definizione di Curzio Malaparte, «la patria del diritto e del rovescio» le due decisioni sono ancora del tutto interlocutorie.
Il Tar rileva, infatti, nella sentenza che «in base all’art. 6 della delibera n. 353/11/CONS l’autorizzazione di cui si discute è rilasciata per una durata di dodici anni ed è rinnovabile per periodi successivi di uguale durata, previa domanda da presentare almeno trenta giorni prima della scadenza dell’autorizzazione medesima».
Sulla base di ciò i giudici amministrativi di primo grado – non accogliendo le motivazioni proposte dalla ricorrente (marchio RTI) – stabiliscono che «il dies a quo dal quale decorre il termine di efficacia dell’autorizzazione vada correttamente individuato nel 28 aprile 2012 (con scadenza al 28 aprile 2024), data in cui il Ministero ha comunicato all’istante (marchio RTI) l’adozione del provvedimento e che, pertanto, il termine ultimo per il rinnovo era il 29 marzo 2024, con conseguente tardività della relativa istanza formulata solo in data 24 aprile 2024».
La decisione del Consiglio di Stato non fornisce una diversa interpretazione ma, più semplicemente, stabilisce: «ritenuto che, nel bilanciamento degli opposti interessi, alla luce della particolare pregnanza del dedotto periculum in mora, impregiudicata ogni valutazione in ordine al fumus boni iuris (e ferma la necessità che il giudice di primo grado valuti approfonditamente, in alternativa tra loro, le tesi della difesa erariale – che vuole il dies a quo per il computo del termine in quello di rilascio del titolo – e della odierna appellante – che individua lo stesso nell’effettivo switch off), va accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma della ordinanza impugnata, va accolta la domanda cautelare in primo grado».
In buona sostanza, ed al netto dei tecnicismi giuridici, Palazzo Spada in ordine al dies a quo (il giorno a partire dal quale l’autorizzazione ha efficacia), al periculum in mora (il danno economico) ed al fumus boni iuris (e cioè l’apparenza di un buon diritto) rimandano al Tar per approfondire.
Detto più semplicemente, la giustizia non ha trionfato, perché ancora deve entrare nel merito e nella sostanza.
La materia è fin troppo tecnica per essere accolta dalle grida di giubilo che provengono da taluni personaggi, la cui bramosia di controllo (e di acquisto) del sistema informativo regionale è ormai parossistica e di altri la cui storia “editoriale” (e di vendite) nelle stanze del Ministero è ben conosciuta e segnata da ben più gravi provvedimenti. Sta allo studio Morcavallo vincere l’ignoranza, l’arroganza e la menzogna. Ai giudici far prevalere la verità e la certezza del diritto. (p.militano@corrieracal.it)
*direttore del Corriere della Calabria
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