A Cutro qualcuno ha cancellato dal cartello la parola che indica il nome della frazione Steccato, luogo del disastro umanitario di migranti conosciuto in tutto il mondo. Un semplice vandalo o qualcuno che vuole rimuovere il toponimo del dolore? “Cutro Calabria Italia” non si rimuove, come ricorda il titolo del film di Mimmo Calopresti dedicato a quei tragici fatti e alle donne, agli uomini e ai bambini rimasti impigliati in una storia di sommersi e salvati.
L’opera è stato il punto più luminoso di cinema del Magna Grecia film festival di Catanzaro dove è stato presentato in anteprima alla presenza del regista e di un numeroso pubblico partecipe.
Tecnicamente un docufilm, artisticamente molto di più. La lezione del cinema documentario novecentesco mescolato al cinema della verità contemporaneo senza alcun strillo ideologico con dramma a tesi.
Il film si apre con finzione perfetta. Attori e figuranti sulla barca nei pressi della costa guardano l’approdo del viaggio della speranza: “Italia, Italia” come segno di vittoria della loro vita. Poi la verità.
Il mare che mugghia rabbioso verso la costa è un’immagine da inferno dantesco tratta dal telefonino di uno dei primi soccorritori. Il regista e sceneggiatore ricostruisce da par suo montando immagini di diverse fonti plasmando un unicum che è un pugno allo stomaco. Sta in campo Calopresti e parla con i due giornalisti locali che arrivarono per primi sulla spiaggia di Steccato. Diventeranno punti di riferimento della famiglia allargata nel mondo dei corpi dispersi, salvati, morti tra la secca e la rena.
Mimmo Calopresti, calabrese figlio di emigrati formatosi nella Torino della Fiat, militante di Lotta Continua negli anni Settanta, nutrito dal cinema militante e diventato autore per designazione di Nanni Moretti, ha dato il meglio della sua tecnica e sensibilità per lasciare traccia al mondo dell’abisso di Cutro e della sua secca di mare.
Il regista di Polistena è un pasoliniano militante. Nel suo cassetto c’è anche un film non realizzato sulla lavorazione del Vangelo a Matera e non è un caso che quel film l’abbia celebrato lui a Venezia alla Mostra in occasione del mezzo secolo del film che si vedrà fino alla fine del mondo. E per questo che l’umanissima testimonianza del pescatore cutrese che tenta di salvare il bambino naufrago potendo solo chiudergli gli occhi precede la citazione filmica del “Vangelo secondo Matteo”. Gesù-Irazoqui sulla spiaggia crotonese che simula il lago di Tiberiade incontra i suoi prima apostoli, sono pescatori e dice loro: “Vi farò pescatori di anime”. Pescatori di anime anche quelli che erano sulla spiaggia di Cutro a salvare corpi e cristiani. Nel film c’è anche Margherita Caruso, la giovane crotonese, da anni ormai vive a Milano, che ragazza inconsapevole fu scelta per strada da Pasolini per essere la giovane mamma del Cristo. E nel finale non poteva mancare la profezia della poesia pasoliniana “Ali’ dagli occhi azzurri”, quella che aveva predetto prima della cronaca: “Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracciasiatici, e di camice americane. Subito i Calabresi diranno, come malandrini a malandrini: Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio !”. Questo è “Cutro Calabria Italia”. Nel finale un rap visivo possente come un Blob d’autore incornicia e accompagna la potente poesia di Pier Paolo che aveva già visto il mondo di adesso. Ma nell’intensa narrazione non c’è solo Pasolini. Calopresti va ad Amburgo per dare voce ad un parente di una vittima per far comprendere come una donna libera non può vivere nell’Afghanistan dei talebani. Si sentono musiche originali struggenti come un lamento arabo che accompagnano il requiescat della morte, l’anziana che dona la sua tomba del cimitero, la pietas dei soccorritori ufficiali, il senso comune dei calabresi, montaggio delle attrazioni civili con la voce dei sindaci e quelle di Mattarella e di Bergoglio che al festival calabrese ha fatto anche pervenire un messaggio dedicato. A Roccella Jonica l’altro giorno per un’altra strage di migranti il vescovo di Locri, monsignor Oliva ha detto in un’omelia: «È possibile che la sensibilità umana resti indifferente di fronte alla situazione di quanti affrontano questi viaggi senza un minimo di sicurezza». Poche ore dopo dei corpi sono state traslati senza alcuna ufficialità su un aereo a Reggio Calabria per essere riportati dall’Iraq da dove erano scappati. Merito quindi alla Calabria Film Commission per aver prodotto un’opera scomoda e necessaria come “Cutro Calabria Italia”. Un segno che rimane. Quello di un caicco affondato nella secca di Cutro. Grazie a Mimmo Calopresti per aver messo la sua creatività a servizio dell’umana testimonianza della Storia come scandalo della condizione umana. Il film sarà in alcune sale a settembre, ad ottobre in programmazione su Raitre.
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Il Ponte sullo Stretto è un «regalo ai privati» che «va fermato con risolutezza». È la posizione di 563 professori universitari, 262 dell’università di Messina, 281 di atenei del resto d’Italia, 8 di paesi europei e 3 dal continente americano, che attraverso Verdi e Sinistra hanno portato il loro dissenso aperto in una conferenza stampa alla Camera dei deputati. Sul Ponte osserviamo questo scontro tra sapere accademico e l’interesse economico che racconta molto. Tra i contestatori della scelta c’è anche il docente calabrese di Ingegneria, Paolo Veltri. Uno che ha letto per intero il corposo e documentato dossier di 536 pagine che il presidente WWF Italia ha inviato al MASE a nome di una lunga e qualificata lista di accademici e associazioni di alto profilo, ottenendo la richiesta di chiarimenti su numerosi punti cruciali. Ho avuto un documento di sintesi del professor Veltri, che in punto di conoscenza tecnica e professionale sostiene che il Ponte non è al momento fattibile e che il recente provvedimento legislativo approvato è “un obbrobrio legislativo” e che in assenza di un progetto esecutivo permette i lavori con decreti spezzatino. Alla conferenza stampa di Roma il professor Signorino ha invece affermato: “Il progetto non ha realizzato gli approfondimenti del quadro sismico rinviandoli alla fase esecutiva quando invece le documentazioni geologiche ufficiali attestano faglie attive”. Si annunciano nuovi esposti. Il Ponte sullo Stretto resta un’ombra molto scura.
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A proposito di incompiute calabresi. Lo scorso giugno, con la pompa magna di tali ricorrenze, si è celebrata la riapertura della strada della Diga di Tarsia. Dopo 13 anni di lavori pubblici sono stati aperti tre chilometri di nuova arteria.
Dal progetto originario sono spariti una galleria decisiva per la sicurezza con i viadotti di Cozzo Castello e i sei chilometri di cui era composta l’opera intera. Ha scritto sul punto di recente la Gazzetta del Sud: “L’opera pubblica in questione dimostra che, invece che essere propedeutica al miglioramento della viabilità nel territorio provinciale, è in completo abbandono”. L’opera fu finanziata dalla Provincia di Cosenza per trenta milioni di euro. Tagli di nastro e pose di prime pietre diverse. Poca trasparenza direi. Forse, prima o poi, arriverà la magistratura.
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A fine luglio gli emigrati di ritorno in Calabria approdati alla stazione di Lamezia Terme smadonnavano constatando che l’ascensore è indispensabile per i loro bagagli fosse fermo come uno stilita nel deserto, infatti da anni non ha mai funzionato questo indispensabile servizio. Giovedì la buona notizia l’ha data la viceministro Ferro che monitorava il disservizio da quando era all’opposizione presentando dettagliate interrogazioni al ministro dei trasporti dell’epoca Toninelli. Arrivata al governo la pugnace Wanda ha stretto d’assedio i tecnici Rfi raggiungendo l’obiettivo. A Ferro quel ch’e’ di Ferro. Cogliamo la circostanza per segnalare che nel cantiere della stazione di Lamezia Terme qualcuno ha scritto su un pannello: “Catanzaro e Cosenza stessa merda”. Le Calabrie sono in piena salute. Dobbiamo sempre costruire la Calabria e i calabresi. (redazione@corrierecal.it)
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