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il racconto

Il silenzio delle vittime

Il ricordo del giornalista cetrarese Ricucci. La storia di Evelyn «costretta sin da bambina fare i conti con la guerra»

Pubblicato il: 03/08/2024 – 7:08
di Ennio Stamile
Il silenzio delle vittime

COSENZA Dialogando con Amedeo Ricucci, questo il titolo della serata organizzata giorno 31 luglio scorso, nel piccolo anfiteatro, messo a disposizione dall’Amministrazione comunale, posto all’inizio dello splendido lungomare di Belvedere Marittimo, dall’OdV San Benedetto Abate, nel corso della XV edizione della Settimana della Cultura Benedettina, che ha come tema: “Il silenzio delle Vittime”. Un impegno preso dalla nostra Associazione durante i funerali del Giornalista e reporter di guerra di origini cetraresi, che ci vedrà impegnati, ogni 31 luglio, giorno del suo genetliaco, a continuare a dialogare con lui, con la sua straordinaria eredità che ha lasciato nel corso degli oltre trent’anni di professione. Sul suo portale, dal titolo quanto mai evocativo: “Ferri Vecchi”, campeggia una frase del giornalista ed attivista per i diritti umani di Buenos Aires, Horacio Verbitsky: «Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda». Chi lo ha conosciuto ed apprezzato, sa che in questa frase è sintetizzata tutta la sua professione di giornalista. Ciò in cui credeva e per cui ha speso la sua vita di reporter rischiando la pelle in molte occasioni: era con Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia il 20 marzo 1994, giorno dell’uccisione della giornalista del TG3 e del suo cameraman; a pochi passi di distanza al momento dell’uccisione del fotografo del Corriere della Sera, Raffaele Ciriello, avvenuta a Ramallah il 13 marzo 2002 e pubblicò su questo drammatico episodio il libro “La guerra in diretta”. Ha seguito i più importanti e cruenti conflitti degli ultimi decenni: Algeria, Somalia, Bosnia, Ruanda, Liberia, Kosovo, Afghanistan, Libano, Iran, Iraq, Palestina, Tunisia, Libia, Siria, dove subì anche un rapimento e diversi giorni di prigionia.

Lo scorso mercoledì abbiamo dialogato con lui sull’Africa, di come il colonialismo francese in ben 14 Paesi africani non sia mai terminato. Lo abbiamo fatto ascoltando due testimonianze di membri dell’Associazione CODAI di Milano, che si occupa di tratta e di diritti umani: Patricia Sylvie Wanene Bayoro, che ne è anche la Presidente, ed Evelyne Kasongo, quest’ultima fuggita dalla cruenta guerra del Congo. Il due agosto di ogni anno nel grande Paese africano si ricordano le vittime di uno dei più grandi genocidi della storia dell’umanità: dieci milioni di morti. Ma il Congo oggi viene ricordato e sfruttato per il coltan, i diamanti, il cobalto, l’uranio e tante altre preziose risorse del sottosuolo. Impressionante e al contempo commovente il loro racconto soprattutto quello di Evelyne, costretta sin da bambina a fare i conti con la guerra – aveva dieci anni quando ha sentito la prima pallottola – e di come crescendo ha avuto il coraggio di fuggire per cercare fortuna fino a quando un sacerdote cattolico le ha suggerito di andare in Libia, dove nel periodo prima della soppressione di Gheddafi, voluta da francesi ed americani che lo avevano fatto passare agli occhi del mondo come un cruento dittatore, ha vissuto uno dei momenti più felici della sua vita. Nella Libia di Gheddafi, ha raccontato Evelyne, non si pagava affitto, luce, carburante. Non vi era alcuna discriminazione tra residenti e non residenti, esattamente il contrario di come quasi tutte le testate giornalistiche, al soldo dei poteri forti, ce l’avevano descritta. «Poi è scoppiato l’inferno anche lì – ha raccontato – allora ho trovato la forza di fare la traversata del mare che mi faceva molta paura». Una volta svegliatasi dall’ospedale, aveva perso i sensi durante la navigazione, quando ha compreso di essere in Italia, pensava di aver trovato un altro paradiso, ma poi ha dovuto fare i conti con le solite discriminazioni razziali, che le hanno fatto male almeno quanto la guerra.

Due donne forti, straordinarie, piene di vita, madri di figli, che intendono portare avanti la loro giusta battaglia, per l’abolizione di ogni forma di colonialismo e neocolonialismo. La loro storia, ancora una volta, ci ha insegnato che prima di formulare giudizi, di operare discriminazioni o sfruttamento di ogni genere nei confronti degli immigrati, occorre conoscere la triste realtà di come ancora oggi il nostro Occidente opulento continui a sfruttare l’Africa. È assolutamente necessario che Giornalisti veri e coraggiosi, come Amedeo, siano sempre più innamorati del loro mestiere e vogliano raccontare la verità così com’essa è, a qualsiasi costo. Altrimenti, è troppo alto il prezzo da pagare, ne va di mezzo la democrazia e con essa i valori che compongono il nostro vivere civile: la libertà e l’uguaglianza. Sono fortemente persuaso con la drammaturga statunitense Eve Ensler che “l’Africa è il cuore nevralgico del mondo, e il Congo è il cuore del cuore. Saranno le donne congolesi a curare quel cuore.” Grazie Evelyne e Patricia, assieme ad Amedeo, staremo sempre dalla vostra parte.
(redazione@corrierecal.it)

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