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la riflessione

La Calabria del XXI secolo: quello che eravamo, quello che siamo diventati

Lo spopolamento di una regione per vecchi il capoverso dell’agenda regionale

Pubblicato il: 07/08/2024 – 14:31
di Paride Leporace
La Calabria del XXI secolo: quello che eravamo, quello che siamo diventati

Il prossimo 31 dicembre segnerà il primo quarto di secolo della nuova era del mondo. Quella del XXI secolo. Una riflessione, quindi, si pone su quello che è diventata la Calabria. Il Tempo che scorre nelle sue opere e giorni ci fa spesso dimenticare che il secolo breve è ormai trascorso, facendoci rimuovere dalla memoria, spesso, che è entrato in archivio il periodo che ha visto il più grande rivolgimento sociale della nostra Storia con un popolo di contadini che si è trasformato in larga parte in classe media certamente più agiata dal secolo scorso. Alcune tare storiche come l’isolamento di vaste aree interne sono rimaste a vivere nel nuovo mondo ma il carattere della globalizzazione ha incluso ampie zone di postmoderno come il resto del pianeta alle prese con le questioni del cambiamento climatico e delle crisi economiche che si abbattono su ogni latitudine da Timbuctu a Simeri Crichi offrendo però opportunità di esodo a coloro che vogliono decidere il proprio destino. Non dimenticando che il senso delle radici del posto in cui sei nato offrono un legame profondo con la Calabria ovunque tu viva. I calabresi di fuori sono aumentati rispetto ai residenti reali e anche con quella platea bisogna fare i conti per capire mutamenti, trasformazioni e caratteri permanenti di un proverbiale popolo di “capotosta” pervicaci e intransigenti nel raggiungere i diversi destini essenziali.
Un quarto di secolo fa, da un punto di vista simbolico, a Capodanno due avvenimenti contemporanei determinano il nuovo percorso storico della Calabria a Cosenza e a Reggio di Calabria.
Per salutare il nuovo secolo la Rai aveva organizzato il programma “Millenium-La notte del 2000” trasmesso in mondovisione e collegato con diverse piazze italiane. Fu scelta anche Reggio Calabria con la conduzione di Alessandro Greco e Beatrice Bocci per commentare l’esibizione di Antonello Venditti in riva allo Stretto. Si videro migliaia di reggini in festa sul Lungomare che sarà intitolato postmortem a Italo Falcomatà, sindaco della rinascita della città. Scriverà storicizzando Nuccio Fava, giornalista calabrese di fama nazionale approdato poi alla politica ulivista: «Una Calabria allegra e giovane faceva irruzione nelle case degli italiani, una Calabria che mostrava le sue potenzialità positive, la voglia e il desiderio di un futuro diverso». Eppure il contrappasso di quella notte si registrerà nel 2009, quando una delle prime trappole sul digitale incastra l’autore di “Roma Capoccia” affermare su YouTube: «Ma perché Dio ha fatto la Calabria? Io spero che si faccia il Ponte, almeno la Calabria esisterà. Ho conosciuto un ragazzo calabrese che prendeva il traghetto per la Sicilia, dove si trovava una ragione, la cultura. In Calabria non c’è veramente niente, ma niente che sia niente». Uno dei tormentoni ricorrenti del nuovo secolo.
Personaggi nazionali che demoliscono la Calabria o rappresentazioni di fiction nazionali espresse per luoghi comuni determinando alzate di barricate collettive della Calabria di dentro e di fuori con conseguenti boicottaggi ad personam.
È l’identità calabrese del XXI secolo costruita per reazione, siamo ormai abituati a rappresentarci per come ci raccontano. Il calabrese del tempo presente è dipendente dallo sguardo esterno.
Venditti inconsapevolmente aveva demolito la poesia novecentesca di Leonida Repaci “Quando fu il giorno della Calabria” quella che dipinge Dio plasmarla “più bella della Calabria e delle Hawaii” e in cui vuole che “le madri fossero tenere e le mogli coraggiose, gli uomini autorevoli e i vecchi rispettati”. Un riuso del nuovo secolo ha fatto di questo scritto intellettuale un’orazione social collettiva calabrese del XXI secolo che diventa arma di difesa del pregiudizio. Siamo davanti a due colonne d’Ercole del pensiero calabrese contemporaneo sempre in bilico tra il piangersi addosso e l’autogiustificazione. La linea del Piave del nostro presente sta piazzata invece su chi cerca di capire il motivo dello stereotipo calabrese e lo demolisce sul punto di vista del denigratore, sapendo separare il grano dal loglio su quello che non siamo riusciti a trasformare.
Eppure a Reggio Calabria il Capodanno del 2000 in diretta nazionale aveva rovesciato lo stereotipo del gran pennacchio della Rivolta novecentesca dove il più grande rivolgimento di massa urbana europeo aveva posto la città calabrese in un perfido cono d’ombra che sarà spezzato dalla rivoluzione gentile di Italo Falcomatà con dinamiche complesse di bianco e nero che arrivano ai giorni nostri.

Battiato a Cosenza

Ma quel 31 dicembre vigilia del 2000 a Cosenza in contemporanea alla diretta televisiva di Venditti a Reggio Calabria succede qualcosa di storico. Per la prima volta niente riunioni in casa e veglioni privati in discoteca. Davanti a Palazzo dei Bruzi sul grande palco salì il maestro Franco Battiato radunando 40.000 persone accorse da ogni dove che avevano trovato nel Comune amministrato da Giacomo Mancini, il miglior politico calabrese del ‘900 che andava via, un centro di gravità purtroppo non permanente. Battiato aveva detto in conferenza stampa che era venuto a suonare a Cosenza «perché era la città di Giacomo Mancini».
Quella moltitudine era scesa in strada a modificare il calendario urbano della città connettendolo a quello delle città europee per salutare il nuovo secolo che arrideva ad una città del Sud che era stata in grado dal 1993 di edificare energie straordinarie costruendo opere materiali e immateriali continuate, anche qui tra luci e ombre, che arrivano ai giorni nostri. Quella notte tutti i cosentini, residenti e temporanei, sorridevano non solo per un Capodanno riuscito salutato da fuochi artificiali indimenticabili ma soprattutto per quello che era diventata la città dopo anni spesso bui. Battiato anni dopo, a differenza di Venditti, si dedicherà ad un’opera lirica dedicata al filosofo cosentino Bernardino Telesio, commissionata dal direttore artistico Antonello Antonante, che riattualizza nel nuovo secolo il pensiero eretico di un grande innovatore. Semi nuovi per l’Atene di Calabria che anche nell’epoca nuova recita un ruolo di capitale culturale della provincia meridionale e che nell’espansione dell’Università della Calabria ad Arcavacata arriva oggi ai vertici dell’accademia italiana trovando un punto di riferimento della nuova vita sociale calabrese.
Quei due concerti, a Reggio Calabria e Cosenza, non furono il trionfo dell’Effimero, ma la dimensione plastica della modernità presa ad esempio da tutte le città calabresi e che arriva ai giorni nostri con il Capodanno in diretta Rai trasmesso su committenza pubblica da una piazza calabrese a tutta la nazione. Non si tratta di una panacea delle mille questioni irrisolte calabresi, ma un allineamento che tra propaganda e reale esigenza di potersi rappresentare positivamente conquista, con ogni mezzo necessario, un posto di visibilità che per almeno 10-15 minuti attira tutti gli sguardi del Paese.

esodo

Le “nuove dimensioni” dell’esodo

In questo quarto di secolo abbiamo constatato anche altro. Sostituendo i trolley alle valige di cartone l’esodo collettivo ha assunto nuove dimensioni antropologiche per la Calabria di fuori che si estende da Vancouver ad Abu Dhabi arrivando fino all’Australia e alla Terra del Fuoco e dilagando nella vecchia Europa oltre che nel Nord Italia. È aumentato lo spazio vuoto dei paesi e delle frazioni delle aree interne. Presepi artificiali che accendono le luci due volte l’anno. Ha scritto Vito Teti ad inizio secolo “paesi in abbandono, con spazi deserti e vuoti, sono spesso senza più centro, senza piazza, senza bar, senza più rapporti, senza punti di riferimenti, con paesaggi urbani stravolti”. Vito Teti in questo nuovo secolo ha ragionato sulla “restanza” complessa filosofia politica ed esistenziale di resistenza tutta da costruire e da edificare in questo tempo complesso.
Dall’inizio del nuovo millennio, la Calabria ha visto diminuire la sua popolazione di circa un milione e mezzo di residenti. Vanno via soprattutto i giovani e siamo diventati una regione di vecchi. La discussione pubblica del nuovo secolo ha questo capoverso. Troppo spesso rimosso e inevaso che abbiamo il dovere di tenere vivo per poter prendere il presente con le nostre mani. (redazione@corrierecal.it)

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