LAMEZIA TERME Una piazza commossa e raccolta attorno ad una piccola bara bianca. Quella che accoglie e custodisce il corpo senza vita del piccolo Anàs. Il piccolo di appena 6 anni, recuperato in mare il 14 aprile scorso nelle acque antistanti l’area industriale di Lamezia Terme, nel tratto di mare compreso fra l’ex pontile Sir e la foce del fiume Amato, è divenuto suo malgrado il simbolo di una fase storica drammatica, segnata e sconvolta dai morti in mare, ma a tratti anestetizzata da un dolore che non finisce mai. C’era tutto questa mattina in piazza Mazzini a Lamezia Terme: c’era il dolore, il ricordo e il rispetto di politica, istituzioni e figure religiose, ma anche il viaggio, quel filo rosso che condurrà il corpo del piccolo Anàs dove tutto è iniziato, in Tunisia, senza vita e senza il padre, morto anche lui nel naufragio risalente, con ogni probabilità, al mese di febbraio. La bara con all’interno la salma del piccolo partirà alla volta di Napoli, poi sarà imbarcato per raggiungere la Tunisia e la sua famiglia.
Presenti il vescovo lametino, Serafino Parisi, l’imam Fatnassi Ammar, il procuratore di Lamezia, Salvatore Curcio, il dirigente del commissariato della Polizia, Antonio Turi, i Carabinieri rappresentati dal maggiore Christian Bruscia, la Polizia municipale con Aldo Rubino. E poi il sindaco Mascaro, il vice Bevilacqua.
Ad occuparsi del suo caso e a preoccuparsi di riannodare i fili della memoria ci ha pensato la Procura di Lamezia Terme, guidata da Salvatore Curcio, che ha aperto subito un fascicolo contro ignoti per disposizioni contro l’immigrazione clandestina delegando ogni utile indagine finalizzata ad individuare la tratta e le dinamiche del naufragio oltre che, ovviamente, a identificare i resti del corpo. Le interlocuzioni con le Autorità consolari tunisine di Napoli hanno consentito di ottenere il profilo genetico della donna che si ipotizzava potesse essere la madre del bambino trovato dall’equipaggio della Guardia Costiera di Vibo Valentia il 14 aprile scorso. La conferma alle risultanze investigative raccolte dai poliziotti del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Lamezia Terme è venuta dalla comparazione del profilo genetico estrapolato dai resti del corpo del bambino, nell’ambito di consulenza medico legale disposta dalla Procura della Repubblica di Lamezia Terme, con quello fornito dal Consolato tunisino di Napoli, a seguito della quale i resti del bimbo recuperati in mare sono risultati essere quelli del piccolo di 6 anni, partito con il suo papà nel vano e disperato tentativo di per raggiungere le coste della Sardegna.
«Un bambino è sempre portatore di speranze, per sé e anche per gli altri, per il padre che lo accompagnava, per la madre che è rimasta lì. Quindi, guardando la bara di Anàs, io metto qui al di fuori della bara, tutte le speranze dell’umanità». Così il Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme, Serafino Parisi. «Non voglio pensare a quelle che sono sepolte, purtroppo sono sepolte, all’interno di questa urna, ma vorrei pensare alle speranze che stanno fuori, quelle che ancora potrebbero governare l’umanità con l’accoglienza, con il riconoscimento dell’altro come persona e ancora di più: il riconoscimento dell’altro non come un nemico, un antagonista, un avversario, ma davvero riconoscerlo per quello che è, un fratello. E non solo perché apparteniamo tutti, ricordiamo l’espressione forte, alla stessa razza umana, ma perché in Dio noi siamo stati costituiti fratelli, non più legati dal sangue, ma invece messi in relazione tra di noi dal principio dell’amore».
«Oggi troviamo in mezzo a noi una piccola bara di un bambino che non ha visto nulla dalla vita, ha fatto il primo passo dalla vita. Un bambino che è nato in Tunisia e muore qui. Un bambino di cui sono stati gioiosi per la sua nascita i familiari, e noi adesso diamo l’espressione di tristezza in Italia. Questo è il mondo. Questo è il mondo, come ha detto il Vescovo, come ha detto il signor Sindaco, questo mondo malvagio, questo mondo di squilibrio, questo mondo di egoismo, questo mondo delle grandi multinazionali che si accaparrano di tutte le ricchezze da una parte del mondo per poi tenerla loro». «Questi signori dietro di me provengono da nazioni ricche, molto ricche, l’Africa ha non meno del 60% delle ricchezze del mondo e i popoli più poveri del mondo sono gli africani e gli asiatici». Così l’imam di Lamezia Terme, Fatnassi Ammar, durante il suo intervento nel corso della celebrazione. «Devo ringraziare innanzitutto, non per pubblicizzare o per fare pubblicità, il dirigente del commissariato di Lamezia Terme quando mi ha chiamato la settimana scorsa e ha espresso il suo desiderio di fare questo saluto mi ha commosso. Lui non è un politico, non deve farsi propaganda elettorale, lui non è parente non è neanche della stessa fede, non è delle stesse nazioni, ma questo significa che è un uomo, dentro la divisa c’è un uomo, c’è un uomo nella divisa del sindaco, c’è un uomo nella divisa del vescovo, c’è un uomo nella divisa del Carabiniere, questa è la vera coscienza del vero uomo. Ma quante persone sono coscienziosi in questo mondo? Sono pochissime. Come anche vediamo che in questa piazza vi ringrazio veramente per questa presenza e per questo incontro per salutare questo bambino».
Di «insieme di comunità» ha parlato, invece, il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro. «Nel mondo più bello tutte devono convivere e coesistere. Noi oggi abbiamo qui una bara bianca, il simbolo della purezza ma che oggi, in questo momento, fa da contraltare a quelle che sono tutte le motivazioni che oggi ci portano qui». (g.curcio@corrierecal.it)
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