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il processo

Le «nuove leve» della ‘Ndrangheta di Vibo e l’appello contro l’assoluzione di Tomaino “U lupu”

Accusato di far parte dello stesso gruppo di Luigi Federici e Domenico Mangano (condannati), è stato assolto a fronte di una richiesta di 18 anni

Pubblicato il: 09/08/2024 – 11:09
Le «nuove leve» della ‘Ndrangheta di Vibo e l’appello contro l’assoluzione di Tomaino “U lupu”

VIBO VALENTIA Una stagione di violenza, pestaggi e tentati omicidi. Le “nuove leve” della ‘ndrangheta vibonese che cercano di imporsi nell’ambiente criminale ostentando un potere fatto di sopraffazione e aggressioni. È il contesto “pre-Covid” descritto dalla Dda nelle accuse di “Rinascita Scott”, ricostruzioni che poi hanno retto portando a oltre 200 condanne nel solo filone ordinario con la sentenza dello scorso novembre. Tra questi i giovani rampolli della criminalità organizzata di Vibo Valentia, in particolare quelli che fanno riferimento alle ‘ndrine di centro-città. Quasi un secolo di carcere per loro: 25 anni per Luigi Federici, 26 per Domenico Camillò, 14 per Loris Palmisano, 8 anni per Michele Macrì, mentre è stato assolto Giuseppe Tomaino (a fronte di 18 anni chiesti), anche lui accusato di far parte dello stesso gruppo legato ai Pardea Ranisi. Per Tomaino, così come per Michele Macrì nonostante la condanna, la Dda ha presentato appello, non condividendo le motivazioni espresse dal collegio giudicante nella sua assoluzione.

I rampolli della ‘ndrangheta

Quelli precovid sono anni in cui le dinamiche criminali vengono “scosse” dalla nascita di nuovi gruppi e leader criminali che cercano di imporsi dinnanzi ai vecchi capi. Piani scombinati dal grande lavoro degli inquirenti e delle forze dell’ordine confluito nell’operazione di Rinascita. A emergere è il gruppo di Salvatore Morelli, «erede» di Andrea Mantella, e a cui farebbero riferimento Luigi Federici e Domenico Camillò. Vicino al gruppo, secondo l’accusa, anche Giuseppe Tomaino detto “U lupu”, fratello di Domenico Tomaino, condannato a sua volta in Rinascita a 17 anni di carcere. A entrambi contestata la partecipazione all’associazione mafiosa, l’accusa è poi caduta nei confronti del fratello minore con l’assoluzione del collegio giudicante perché «il fatto non sussiste». Pochi gli indizi, a detta dei giudici, che proverebbero un coinvolgimento di Giuseppe Tomaino nell’associazione.

Pestaggi e dichiarazioni dei collaboratori

Il quadro probatorio si basa principalmente sulla presunta partecipazione di Tomaino ad alcuni pestaggi e alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In particolare, secondo la Dda, avrebbe partecipato all’aggressione di un soggetto vicino al clan degli Accorinti, subito scatenando la reazione dei sodali e creando «tensione tra le consorterie dei Ranisi e di Zungri». Michelangelo Barbieri, condannato a 18 anni e ritenuto vicino alla ‘ndrina degli Accorinti, avrebbe intimato allo stesso Tomaino di non «recarsi nel proprio territorio (Pernocari, ndr) pena il pestaggio». A questo episodio sarebbe legata un’altra aggressione, questa volta ai danni di un altro soggetto di Vibo “reo” di aver preso le parti dei Barbieri. Dal pestaggio si sarebbe poi passata a una sparatoria a casa della vittima, episodio raccontato dal pentito Michele Camillò, che precisa di averlo saputo proprio dallo stesso Tomaino. A “scagionare” quest’ultimo, secondo i giudici, la stessa testimonianza delle vittime che hanno dichiarato di non averlo visto al momento della sparatoria.

Le parole dei collaboratori e l’appello della Dda

Per il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, Giuseppe Tomaino, pur non essendo formalmente affiliato, «veniva delegato all’esecuzione di alcune azioni intimidatorie, soprattutto dal fratello Tomaino Domenico». Sempre Arena lo inserisce nel gruppo «coordinato dal sodale Domenico Camillò». Per gli inquirenti avrebbe anche partecipato «alle “ronde” organizzate dalla ‘ ndrina Ranisi al fine di ricercare i fratelli Barbieri di Cessaniti e farsi giustizia». A dimostrare la sua partecipazione ci sarebbero poi l’atteggiamento del gruppo “avversario” operante su Vibo, formato dai giovani rampolli legati alla ‘ndrina dei Cassarola. Tra questi Loris Palmisano, condannato a 14 anni e per gli inquirenti «promotore e coordinatore di un gruppo di giovani leve del locale di Vibo Valentia», che in diverse conversazioni avrebbe ammesso di «essersi scontrato direttamente con la controparte», scampando anche a un tentato omicidio che sarebbe stato ordito, scrivono gli inquirenti, dal «sodalizio vibonese a lui contrapposto, quello al quale fanno riferimento i suoi ex sodali Luigi Federici e Giuseppe Tomaino, nonché Domenico Camillò detto ”Mangano” , ovvero la ‘ ndrina Ranisi». Se due di questi sono stati condannati, per i giudici Giuseppe Tomaino va assolto da ogni accusa. Una conclusione non condivisa dalla Dda che ha presentato appello. (Ma.Ru.)

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