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Gigi Lentini e il Cosenza, la trattativa lampo e il potere della provincia

Luca Pagliuso: «Per fargli cambiare idea gli dissi “con te andiamo in A”. Si innamorò della piazza e l’anno dopo firmò in bianco»

Pubblicato il: 10/08/2024 – 7:16
di Francesco Veltri
Gigi Lentini e il Cosenza, la trattativa lampo e il potere della provincia

COSENZA Gennaio 2001: Papa Giovanni Paolo II ha chiuso la Porta Santa, in Italia impazza il primo caso sospetto di mucca pazza, George W. Bush ha appena giurato come 43º presidente degli Stati Uniti d’America e Gianluigi Lentini si sta convincendo ad accettare l’offerta del Cosenza.
Sì, detta così, la cosa potrebbe sembrare esagerata, paragonare i grandi eventi del mondo a una trattativa di calciomercato in una piccola realtà di provincia della Calabria. Ma a Cosenza, si sa, il pallone spesso e volentieri ha superato i confini dell’immaginario per posizionarsi al centro della narrazione quotidiana. Il pallone nella città dei bruzi se non è tutto, è comunque tanta roba, e se nel 2001 mister 20 miliardi di lire sta per indossare la maglia a tinte rossoblù, l’affare diventa dannatamente serio, da prima pagina di giornali, capace di relegare dietro l’angolo tutto il resto.
Mister 20 miliardi o giù di lì, seppure ormai, a detta degli esperti del settore, in declino. Come sia possibile che un fuoriclasse del calcio italiano abbia solo pensato di poter ripartire da Cosenza è un mistero, ma in pochi si pongono la domanda. Adesso conta solo che “Re Luis”, dopo aver appeso momentaneamente le scarpette al chiodo, abbia deciso di ricominciare da capo, fregandosene dei ricordi illuminati d’oro come il suo orecchino sul lobo sinistro e della gloria svanita sul più bello, quando un incidente stradale da cui è uscito vivo per miracolo, lo ha riportato in una dimensione più umana, sicuramente più vicina alla sua natura originaria.

Lentini con la maglia del Torino

La gloria, l’incidente e le monetine (come accaduto a Craxi) dei tifosi del Toro


Quell’inverno ha quasi 32 anni Gigi da Carmagnola, nel Torinese, ma con origini palermitane fortissime. Ha trascorso tutte le festività natalizie a pensarci e ripensarci: torno o non torno a giocare? Il calcio gli manca, ma non quello di un tempo, anche perché lo sa bene che le sue gambe e la sua testa non sono più quelle di un tempo: le prodezze col suo Torino, il nuovo presidente Gian Mauro Borsano che si insedia puntando proprio sul giovane asso del vivaio del Filadelfia: «Lentini sarà la nostra bandiera e con lui torneremo in A». E puntuale la massima serie arriva, insieme alla convocazione e all’esordio in Nazionale, la finale di Coppa Uefa contro l’Ajax persa immeritatamente mentre Emiliano Mondonico, alzandola verso il cielo in segno di protesta, farà diventare celebre una anonima sedia. E poi il passaggio al Milan di Silvio Berlusconi per salvare il Toro dal collasso: una cifra assurda, spropositata per quei tempi di bombe di mafia, sangue e tangentopoli.
Il 1992 il futuro presidente del Consiglio, pur di portarlo in rossonero sborsa ufficialmente 18,5 miliardi, anche se Borsano successivamente parlerà di un’operazione, smentita dal Milan, di 65 miliardi complessivi tra acquisto, stipendio del ragazzo e soldi in nero (quell’affare finirà addirittura in tribunale).


La reazione dei tifosi granata è veemente: cortei e tafferugli di piazza per quello che era considerato ormai un simbolo granata e lui, il simbolo, che dopo un’intervista nella sede dell’Ansa, è costretto a nascondersi e a fuggire, bersagliato dalle monetine dei suoi vecchi tifosi traditi, proprio come accadrà al leader socialista Bettino Craxi appena un anno dopo.
Ognuno degli attori principali scarica sull’altro la responsabilità di quella trattativa. Poi, però, tutto si silenzia e il primo anno di Lentini al Milan se ne vola via senza troppi giorni da ricordare. Qualche numero d’alta scuola, rovesciate sparse e poco altro: 30 presenze e 7 gol, uno scudetto, una finale di Champions League persa contro l’Olympique Marsiglia e tante critiche per ciò che combina fuori dal campo. Ed è proprio fuori dal campo che la notte del 2 agosto 1993 la vita di Lentini cambia radicalmente. Dopo un torneo estivo con il Milan a Genova, si mette alla guida della sua Porsche per tornare per qualche giorno a Torino. Sull’autostrada si schianta a 200 Km/h. Batte la testa ma si salva per miracolo. Da allora però fatica a riprendersi, le conseguenze neurologiche sono gravi, i riflessi non sono più quelli di prima. Rientra soltanto alla fine della stagione, gli basta per vincere la Champions League contro il Barcellona, seppure da spettatore, e non verrà convocato per i mondiali americani. Ma al Milan nonostante le vittorie, le delusioni sono tante e nel 1996 chiude quell’esperienza.

La sua carriera prosegue prima nell’Atalanta del suo vecchio maestro Mondonico (qui ritrova anche la Nazionale) e poi di nuovo a Torino per tre anni, ripartendo dalla B fino al ritorno in A. Quell’anno, siamo nel 2000, la squadra si avvia nuovamente verso la retrocessione e tutto cambia ancora. «Sognavo di concludere la carriera in granata – racconterà successivamente alla Gazzetta dello Sport – ma, purtroppo, non è stato possibile. Ho sofferto molto e a tre giornate dalla fine del campionato avevo deciso di dare l’addio al calcio. A Torino era cambiato tutto: presidente, allenatore, strategie. E io, l’avevo chiaramente capito, non rientravo in queste strategie». Ma, forse, non è solo il Toro ad essere cambiato. Da tempo gli occhi di Gigi Lentini hanno una luce diversa, più profonda.
Il 22 aprile gioca la sua ultima partita e poi dice «basta, non gioco più».

«Dammi le indicazioni che sto scendendo a Cosenza»

Ed eccoci arrivati al punto di partenza e cioè ai fatti più importanti di quell’inizio di 2001 e alle strade di Lentini e del Cosenza che si uniscono improvvisamente e, senza ancora saperlo, per sempre. Fino a quel momento la squadra rossoblù guidata dal bergamasco Bortolo Mutti aveva sorpreso tutti. Un cammino da serie A nel girone d’andata, con 13 giornate in vetta alla classifica e la sensazione di poter tentare finalmente il grande salto, mai raggiunto prima. Nelle ultime partite del 2000, però, qualcosa sembra essersi inceppato, Valoti e compagni non sono più brillanti come all’inizio del torneo, e allora la società guidata da Paolo Fabiano Pagliuso e da poco tempo anche da Settimio Lorè, inizia a cercare sul mercato elementi di maggiore qualità tecnica. Non è facile trovare in giro qualcosa di meglio dei vari Strada, Pavone, Savoldi, Zampagna, Guidoni e Pisano ma, proprio quando il mercato invernale si sta concludendo, accade l’impensabile. Una sera di gennaio Luca Pagliuso, direttore amministrativo del club nonché figlio del patron, è a passeggio nel centro di Verona con l’agente di Lentini Andrea D’Amico. «Sai – confida quest’ultimo a Pagliuso – Gigi è appena tornato dal Giappone, ha provato a mettersi d’accordo lì con una squadra ma non se n’è fatto niente e ora ha deciso davvero che vuole smettere». A quel punto Luca Pagliuso incalza D’Amico: «Ma perché vuole smettere? Come sta fisicamente?». «Sta bene – risponde l’agente di Lentini – ha un piccolo problemino al ginocchio che si porta dietro da tempo che però non gli dà molto fastidio. Non vuole operarsi, non ha problemi quando corre, ma ormai non ha più stimoli». Pagliuso non si arrende e chiede a D’Amico di farlo parlare con Lentini. «Non lo convinci – spiega l’agente – e poi a Cosenza non verrà mai». L’insistenza del dirigente rossoblù porta lo stesso D’Amico a chiamare quella sera stessa Lentini. Da lì nasce una simpatica chiacchierata alla fine della quale la stella del calcio italiano invita Luca Pagliuso nella sua casa di Carmagnola. L’incontro, tre giorni dopo, è piacevole, i due parlano a lungo della possibilità di far indossare all’ex Torino e Milan la maglia dei Lupi. «Sì – ammette Lentini quella sera – vorrei tornare a giocare ma cerco anche una squadra che mi vuole per davvero».
Chiede di essere amato Gigi, e non per il suo passato di luci, gossip e ombre, ma per ciò che è diventato subito dopo.
Agli occhi del dirigente del Cosenza appare triste, senza più sicurezze.
«Secondo me – irrompe Pagliuso – tu hai ancora tanto da dare, noi vogliamo andare in serie A e se vieni a Cosenza ci riusciamo».
La risposta di Lentini fa sorridere il suo ospite: «Ma a Cosenza come si arriva?». «C’è un aeroporto – lo informa Luca Pagliuso – il nostro allenatore è Mutti, il ds è Ciccio Marino e in squadra ci sono ottimi giocatori».
Quell’incontro si chiude con un «ti faccio sapere» di Lentini che non dà molte speranze al suo corteggiatore.
«Tornato a Cosenza – afferma oggi Luca Pagliuso al Corriere della Calabriane parlai con mio padre e con lo stesso Mutti. Io volevo abbracciare fortemente questo progetto, da parte di tutti c’era l’entusiasmo per la sola possibilità di vedere uno come Lentini giocare con noi, ma c’era anche la paura di rompere gli equilibri della squadra. Inoltre non si conoscevano bene le condizioni fisiche del calciatore».
Ogni dubbio viene però messo a tacere il lunedì successivo. Squilla il telefono di Luca Pagliuso, è proprio lui, Gigi Lentini: «Dammi le indicazioni che sto scendendo a Cosenza».
Il mercato di riparazione a quel punto si è già chiuso, ma non importa, “Re Luis” firmerà da svincolato.

Lentini con la maglia del Cosenza

Il «matrimonio eccentrico» e la dimensione provinciale che piace al nuovo Lentini


All’aeroporto di Lamezia lo aspettano tutti i dirigenti rossoblù e qualche fotografo. La squadra in quei giorni è in ritiro nei pressi di Ancona, Lentini raggiunge i suoi nuovi compagni per conoscerli, poi rientra a Cosenza e in venti giorni, nonostante un crociato malandato, si rimette in forma.
Dopo i successi e una caduta rovinosa, voleva dedicare più tempo a sé stesso e alla famiglia. Le offerte non gli erano mancate. «Mi volevano in Cina, Arabia e negli Stati Uniti – ammette in quei giorni ai giornalisti della Gazzetta dello Sport incuriositi da quella sua strana scelta – ma preferisco parlare direttamente con i presidenti o i direttori generali, che con gli intermediari. Ho scelto Cosenza dopo aver parlato con chi guida la società e la squadra. Persone che mi sono piaciute per spontaneità e sincero entusiasmo». L’incidente di otto anni prima ha condizionato la sua carriera. Gli erano serviti sei mesi per tornare normale e oltre un anno per riprendere a giocare. «Stavolta è diverso – rivela in quel gennaio – il fisico è sano, l’approccio mentale è giusto e la mia nuova vita è improntata alla serenità. Penso che a 31 anni un calciatore sia in grado di dare ancora molto. In Calabria posso cominciare un nuovo ciclo. Adesso devo lavorare e pedalare per dimostrare che quello tra il Cosenza e Lentini è un matrimonio magari eccentrico, se vogliamo insolito, ma giusto e felice per entrambi. Non soffro di nostalgia per il calcio metropolitano, la dimensione provinciale ha il potere di darti nuovi stimoli».

Il sogno serie A, il fallimento e la ripartenza dalla serie D


Quell’anno, con la numero sei sulle spalle, Lentini totalizzerà 11 presenze e un gol strepitoso contro il Treviso, ma il Cosenza non riuscirà nell’impresa promozione. Meno intensi, anche se da numero dieci e con la fascia di capitano sul braccio, i due anni successivi in cui arrivano una salvezza (con Gigi De Rose e il suo vecchio allenatore Emiliano Mondonico in panchina) e una retrocessione a cui seguirà il fallimento della società e la ripartenza dalla serie D proprio con Gigi Lentini come simbolo di quel tentativo di rinascita immediato. Ormai legato alla piazza bruzia, accetta di scendere nell’inferno dei dilettanti e un suo gol di testa in quel di Sapri al 90’ inoltrato, è l’ultima illusoria fotografia di rinascita che regala ai tifosi silani.

«A Cosenza firmò in bianco, non se ne sarebbe mai andato»

«Il suo gol contro il Treviso è una perla incastonata nella storia – ricorda oggi Luca Pagliuso –. Il grande dispiacere è che a Verona, contro il Chievo, mentre ci stavamo giocando la serie A, si accasciò al suolo perché il ginocchio gli diede un’altra botta, e dopo essere passati in vantaggio con Adriano Fiore, perdemmo la partita negli ultimi minuti. Fu lì che abbandonammo ogni speranza».
«Con Gigi – continua l’ex dirigente – nel tempo ho mantenuto un bellissimo rapporto, lui viene spesso al mare a Cetraro dove ha comprato una casa. Ma è rimasto legatissimo a Cosenza, quando lo chiamiamo lui scherza parlando in dialetto cosentino. Era ed è un ragazzo straordinario, umile, un grande campione che a Cosenza, anche in un momento di difficoltà, ha espresso le sue qualità tecniche e umane. Quando stava bene bastavano due accelerate sulla fascia per cambiare la partita. Per lui facemmo uno sforzo economico non indifferente, ma ne è valsa la pena. Lentini prima dell’incidente era un calciatore da Pallone d’oro, da Real Madrid e Barcellona, dalla sua carriera ha avuto meno di quello che avrebbe meritato. Tutti i calciatori di quell’epoca come Franco Baresi e Savicevic lo guardavano come se fosse un extraterrestre. Ricordo che il secondo anno di Cosenza, firmò in bianco il rinnovo del contratto, senza voler conoscere la cifra che avevamo deciso di dargli. Si era già ambientato in città, aveva ritrovato la giusta serenità. Quando la società fallì, lui rimase senza guadagnare un euro in serie D con la squadra della sindaca Catizone. Insomma, qui si trovava bene e non se ne voleva andare più. Come Marulla, Padovano e Lucarelli, anche Lentini rimarrà per sempre nel mio cuore e credo anche in quello di tutti i sostenitori del calcio cosentino». (f.veltri@corrierecal.it)

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