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l’intervista del Corriere della calabria

Mario Spinelli, dall’arte del caffè all’arte di vivere

Il compositore calabrese ci riceve nel suo studio di ultima generazione, a due passi dalla stazione ferroviaria di San Giovanni in Fiore

Pubblicato il: 19/08/2024 – 10:43
di Emiliano Morrone
Mario Spinelli, dall’arte del caffè all’arte di vivere

LAMEZIA TERME «Il caffè è il balsamo del cuore e dello spirito», diceva Giuseppe Verdi, tra i maggiori operisti di sempre. Giova insomma all’anima, conferma Mario Spinelli, compositore calabrese di brani per il cinema, la tv, lo sport, lo spettacolo; per film tra cui quello di Jordan River su Gioacchino da Fiore, documentari, spot, eventi, campagne di sensibilizzazione e altro ancora. «Quando è buono, il caffè – premette Spinelli in una giornata afosa alla vigilia di Ferragosto – dà carica e concentrazione, espande i sensi, solleva l’umore, favorisce la creatività. Le pause perdono la loro magia se manca il rito, la fragranza, il gusto, il piacere del caffè. E allora – avverte il musicista, per un quarantennio docente al Conservatorio di Cosenza – bisogna prepararlo a modo, prestare attenzione ai particolari, ai dettagli, ai singoli passaggi». «Tutto – precisa – deve essere studiato ed eseguito con cura: preparare una tazza di caffè è un’arte, e il risultato dipende dalla passione, dallo scrupolo, dall’esperienza, dalla capacità di mettere insieme i singoli elementi, di mantenerli in equilibrio armonico come se fossero le “voci” di un’orchestra».

Un caffè con Spinelli

Spinelli ci ha invitato ad assaggiare il suo caffè nel proprio studio di ultima generazione, a due passi dalla stazione ferroviaria di San Giovanni in Fiore, simbolo, con la vecchia littorina Breda M2.200, della lentezza meridionale del secondo Novecento, emblema dell’emigrazione dalle aree montane del Sud; se vogliamo anche della nostalgia degli oriundi residenti altrove, memori dei costumi, delle abitudini, della tradizione e del dialetto di una volta, cui l’artista ha dedicato capolavori indimenticabili, tra i quali l’arrangiamento di “Fimmina ’re petre fravicate”, pezzo poetico ed evocativo del cantastorie locale Francesco Lopetrone, spesso ricorrente in festival e raduni delle comunità calabresi all’estero.
Il maestro Spinelli lavora in questo posto: un appartamento al quinto piano isolato dai rumori del mondo, se non fosse per le notizie di tg e siti che scorrono su un monitor della postazione del compositore, in cui campeggiano uno schermo gigante, colorato e pieno di tracce musicali, diverse tastiere attorno, taluni richiami al clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach e uno smartphone messo di lato come ingombro o strumento di connessione, in base alle circostanze. Il caffè da condividere è un pretesto di Spinelli per parlare del tempo, che nella musica ha un’importanza essenziale; per discutere di lettura, esercizio, ascolto, disciplina, storia, cultura e innovazione nell’era degli apparati digitali, dell’Intelligenza artificiale, del dio mercato, del capitalismo onnivoro e della quantità imponderabile di canzoni, immagini, contenuti immateriali e prodotti musicali e culturali in circolo.
Il primo quarto del secondo millennio è segnato dal dominio del marketing, dalle strategie di comunicazione. Dunque, contano sempre meno, nel bazar globale delle vendite, il talento e la preparazione individuale. Piuttosto, rileva l’attitudine del cantante, dell’artista di turno a vestire i panni (mediatici) del personaggio che arriva alle nuove masse di compratori, ormai incapaci di distinguere la musica – per parafrasare Benedetto Croce – dalla non musica.
Spinelli mi porta in un’altra stanza, dove c’è un ritratto di Bach severo e impenetrabile e, a sinistra, una macchinetta del caffè che il compositore calabrese acquistò più di trent’anni addietro per 350mila lire, mobiletto incluso, e poi ricomprò per averne sondato la qualità, oggi assente in molteplici àmbiti della creatività umana. Davanti a quell’apparecchio bianco munito di braccio senza scatto, il mio interlocutore racconta l’effetto magnetico che questo ritrovato della tecnologia, «semplicissimo nella sua struttura», gli fece mentre era esposto in una vetrina di utensili analogici. Se ne innamorò, la comprò e non se ne separò più; al punto che in rete ne ritrovò una identica, in pratica ancora incartata. Purtroppo, la prima si era bruciata e nessuno aveva saputo riparargliela a dovere.
Movimenti da farmacista galenico e da Cucaio, il mago immaginato da Claudio Baglioni in “Acqua dalla luna”, sistemata la polvere del caffè, Spinelli sfila la mia tazza, che mi serve calda, con odore di miscela equilibrata, forte ma non in eccesso, robusta ma senza sentore di bruciato. È uno dei migliori caffè che abbia bevuto, lo ammetto e prometto di scriverlo. Il maestro sottolinea che è un’alchimia frutto di prove continue, sensibilità, ricerca ininterrotta. Lui beve la sua tazza e si sofferma sul Bach incorniciato che tiene nella stanza del caffè, poi chiosa: «Ecco, lui era uno che sapeva ascoltare, cogliere, acquisire, conservare e migliorare tutta la grandezza musicale del suo tempo. Io mi sforzo di applicarne la lezione e credo che nella vita, come nella professione, anche nel giornalismo e nel racconto delle storie, è esattamente ciò che va fatto per distinguersi e lasciare un segno».
Dall’arte del caffè all’arte di vivere, il passo può essere allora molto breve. (redazione@corrierecal.it)

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