«L’Emilia Romagna è fortemente infiltrata da ‘ndrangheta e camorra». L’allarme è stato lanciato pochi mesi fa da Giuseppe Amato, procuratore di Bologna, sulla pervasività della criminalità organizzata in terra emiliana. Un territorio ricco e con un favorevole sviluppo economico non poteva non attrarre l’attenzione della mafia calabrese, che già dal secolo scorso ha “travalicato” i confini regionali per espandersi al nord. «Dieci anni fa siamo venuti qui per dire che c’era la ‘ndrangheta e ci hanno trattati come marziani» disse pochi anni fa l’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che anche lui aveva tentato di avvisare in tempo del rischio infiltrazione della criminalità calabrese. Da allora la ‘ndrangheta si è radicata sempre più nell’economia dell’Emilia-Romagna, sfruttando i settori più fruttuosi e redditizi come gli appalti, il turismo e la ristorazione.
Aemilia, Black Monkey, Minefield. Sono solo alcune delle operazioni anti’ndrangheta in Emilia-Romagna. Il primo grande processo contro le ‘ndrine radicate nella regione emiliana inizia nel 2015: 239 gli imputati, nel mirino soprattutto la ‘ndrangheta di Cutro e la famiglia dei Grande Aracri. Oltre 700 gli anni di carcere comminati dai giudici, che hanno confermato l’imponente “colonizzazione” della famiglia cutrese nei territori, in particolare, di Modena e Reggio Emilia. Già negli anni ’80 si segnala la presenza dei Grande Aracri, tanto da fondare un vero e proprio locale nella città emiliana. Pochi giorni fa, un’altra operazione della polizia ha portato all’arresto tre persone, riconducibili alla ‘ndrangheta, per estorsioni e minacce a Reggio Emilia. Tra di loro il figlio di un condannato in Aemilia e alcuni soggetti già coinvolti in Minefield, l’operazione che a febbraio ha fatto emergere un giro di affari illeciti, finalizzati a riciclaggio e fatture false, che vedeva ancora protagonista la ‘ndrangheta di Cutro.
Risale allo scorso 25 luglio, invece, l’arresto di Saverio Giampà, 60enne originario di Catanzaro e considerato dagli inquirenti contiguo alla ‘ndrangheta. A lui la procura bolognese contesta l’intestazione fittizia e un tentativo di estorsione, da cui sarebbe scaturita l’indagine grazie alla denuncia della vittima. Giampà avrebbe gestito in modo fittizio due gelaterie e minacciato di morte il proprietario di un’attività “concorrente”. Quello del 60enne catanzarese non è l’unico esempio di infiltrazione della ‘ndrangheta nella ristorazione bolognese, un settore in ampia crescita sfruttato dalle mafie per riciclare denaro. Il boom turistico della città felsinea ha convinto la politica locale a investire nel cosiddetto “foodification”, un fenomeno che mira a mettere il cibo al centro dello sviluppo. Un’occasione per la ‘ndrangheta che ha spostato sui locali del centro la propria attenzione. Da un’inchiesta portata avanti da Libera Bologna emerge come numerosi locali del centro, in difficoltà dovute al covid, siano stati rilevati a prezzi bassi. Tra gli acquirenti anche persone legate alla criminalità calabrese: un fenomeno su cui le Procure emiliane hanno ora rivolto gli occhi. (Ma.Ru.)
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