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i viaggi della droga

Il “ponte” che già c’è tra Calabria e Sicilia: il business del narcotraffico che “unisce” le due regioni

Numerosi gli arresti messi a segno negli ultimi mesi attraverso diverse operazioni: Ianus, Penelope e Devozioni. Criptofonini, auto truccate e staffette le tattiche più usate

Pubblicato il: 20/08/2024 – 6:59
di Giorgio Curcio
Il “ponte” che già c’è tra Calabria e Sicilia: il business del narcotraffico che “unisce” le due regioni

LAMEZIA TERME La rotta è ormai nota, battuta da molti e, soprattutto, conosciuta dagli inquirenti che da anni hanno acceso i riflettori su questo collegamento, perfetta sintesi di una sinergia tra bande criminali, spesso “autonome”, altre volte legate alla criminalità organizzata, ma in ogni caso molto proficua. Il collegamento tra Calabria e Sicilia non aspetta il “ponte sullo Stretto” e continua ad affidarsi con fiducia alle auto e ai passaggi sui traghetti quando si tratta di trasportare carichi di droga: marijuana, eroina e soprattutto la più redditizia cocaina. Un business milionario che non conosce soste, limiti geografici o battute d’arresto legate ad operazioni o arresti.
L’attività delle Procure e delle forze dell’ordine, tra Calabria e Sicilia, si è fatto particolarmente intenso nell’ultimo anno, individuando gruppi criminali, modalità di comunicazione e trasporto e, soprattutto, i nomi. Diversi i blitz messi a segno negli ultimi mesi: Ianus, Penelope e Devozione sono i nomi scelti per dare forma e sostanza alla rotta del narcotraffico che lega – con un filo invisibile – la nostra regione all’Isola sicula.

Gela-Polistena e la ‘ndrangheta

Con l’inchiesta “Ianus”, blitz  eseguito dagli agenti della Polizia di Stato su ordine del gip del Tribunale di Caltanissetta, sono finite nella rete degli inquirenti 54 persone, accendendo i riflettori sui rapporti – molto solidi – tra le famiglia di Cosa Nostra di Gela (nella provincia di Caltanissetta) e soggetti calabresi legati alla ‘ndrangheta e, nello specifico, alla ‘ndrina Longo di Polistena, nel Reggino. Tra le figure individuate nella fase investigativa ci sono Tasca e Longo «organizzatori di questo nuovo affare sulla rotta Gela-Calabria» ma anche Giuseppe Borgese (classe 1996 di Cinquefrondi), per conto della ‘ndrina calabrese e Giuseppe Pasqualino (classe ’91 di Gela) per conto del clan Rinzivillo di Gela chiamati invece a «gestire poi materialmente i vari approvvigionamenti erano», scriveva il gip nell’ordinanza. Inoltre, Pasqualino «avrà un importante ruolo di intermediazione nella gestione del traffico di stupefacenti, mettendo in contatto Giuseppe Borgese sia con la famiglia Rinallo di Canicattì che con il clan Cappello di Catania». Quello di Borgese non è un nome qualunque, ma è il genero di Giovanni Longo (cl. ’66) sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, nonché fratello di Vincenzo, figlio del defunto Rocco e nipote di Luigi Longo (cl. ‘18), carismatico capo bastone dell’omonima ‘ndrina. La famiglia Longo rappresenta una delle principali cosche del territorio di Polistena, operativa sia dagli anni ’70, sia nella Piana di Gioia Tauro che al di fuori dei confini calabresi.  

La rotta jonica, quella tirrenica e i Piromalli

Sono 13, invece, le persone arrestate a giugno di quest’anno nel blitz “Devozione” condotta da circa 100 operatori della Polizia di Stato di Catania mentre, solo qualche giorno dopo, saranno addirittura 112 le persone raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare, di cui 85 finite in carcere e 27 ai domiciliari. In questo caso, secondo gli inquirenti della Distrettuale antimafia, gli indagati avrebbero fatto parte di un gruppo criminale finalizzato all’acquisto, al trasporto, alla distribuzione e alla cessione sul mercato di sostanze stupefacenti: marijuana, hashish e cocaina. Come era emerso dall’inchiesta, inoltre, il sodalizio criminale capeggiato da Castorino–Abate–Savoca si sarebbe rifornito di ingenti quantità di cocaina da due diversi canali calabresi, uno proveniente dalla zona tirrenica e l’altro proveniente dalla zona jonica. Il primo canale di rifornimento dello stupefacente faceva capo ad un rosarnese classe 1975 legato «sia da rapporti di frequentazione, sia da vincoli di carattere familiare, dato che la sorella sarebbe proprio la convivente di Piromalli». Mentre un altro soggetto, un locrese classe ’82, avrebbe rifornito «il gruppo messinese di ingenti quantità di sostanza stupefacente, avvalendosi della collaborazione di Bruno Giorgi e, dopo il suo arresto, di altri corrieri», annota il gip nell’ordinanza.

La coppia dello spaccio

Un carico di circa 2 kg di marijuana e una cospicua somma di denaro, oltre mille euro. È quanto avevano trovato i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Messina Centro a bordo dell’auto di una messinese classe 1982, fermata l’1 novembre 2020 per un controllo presso gli imbarchi della “Caronte & Tourist” alla guida di una Yaris, dopo essere sbarcata dal traghetto proveniente da Villa San Giovanni. Da qui le indagini hanno consentito di ricostruire l’inchiesta “Penelope”, focalizzandosi sulla possibile esistenza di un gruppo criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti tra Calabria e Sicilia. Gli inquirenti avrebbero individuato una coppia «dedita al trasporto di sostanza stupefacente» e «avrebbero prelevato la sostanza stupefacente in Calabria, verosimilmente a Rosarno, trasportandola fino a Messina», Sciuto e Papa. Delle ulteriori analisi della sua utenza telefonica, sarebbe emerso come Papa, relativamente al periodo intercorrente dal 1° ottobre 2020 al 24 novembre 2020, «avesse effettuato numerosissimi viaggi da Gizzeria (CZ) verso Messina, intrattenendosi uno o più giorni e che, nel solo mese di ottobre 2020, la sua utenza agganciava celle BTS di Catania per ben tre volte, due delle quali coincidenti con le trasferte effettuate dalla Sciuto», si legge ancora nell’ordinanza.

Kynara, i criptofonini e i furgoni modificati

Che la rotta tra Calabria e Sicilia per il narcotraffico fosse particolarmente importante e proficua, lo si era intuito dall’inchiesta “Kynara” che, nel processo celebrato con rito abbreviato, ha portato alla condanna di 26 soggetti. Durante il processo sarà soprattutto il collaboratore di giustizia Vinciguerra a fornire elementi fondamentali: dai dettagli sui furgoni modificati in partenza dalla Calabria e diretti a Catania, ai “criptofonini” esclusiva della ‘ndrangheta. (…) con questi telefoni non si può parlare a voce (…) questi sono telefoni proprio nati calabresi, perché solo loro ce l’hanno, tutti i calabresi della ‘ndrangheta, tutti loro ce li hanno questi telefoni…». (g.curcio@corrierecal.it)

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